Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Lo sviluppo culturale sei-settecentesco di Bassano trovò il suo acme proprio in concomitanza con il declino e la fine dello Stato veneto, e con il periodo di dominazione francese e austriaca, quando la città vide emergere uno dopo l’altro una serie di intellettuali che segnarono la vita cittadina sprovincializzandola una volta per tutte. Una fioritura di singole personalità, interlocutori obbligati nei campi delle scienze e delle lettere, chi a livello regionale, chi a livello nazionale, chi internazionale. Si tratta di vicende biografiche solo parzialmente intrecciate tra loro dalle comuni frequentazioni salottiere, e che trovano in Bassano più che altro un bacino di formazione e un contesto stimolante, ma che, per le tutto sommato ridotte possibilità della città nell’offrire degna realizzazione alle aspirazioni professionali e culturali dei giovani votati allo studio, venivano inesorabilmente attratte da centri maggiori. Ad ogni modo, se la storia di questi illustri bassanesi è soltanto parzialmente storia bassanese, è pur vero che i risultati da costoro ottenuti, suscitarono nella città veneta una comprensibile e profonda eco, oltre al fatto che riproiettavano nel contesto cittadino relazioni e corrispondenze con le grandi capitali italiane e europee che ne arricchivano l’interna vita culturale. Rischia di essere falsificante l’individuazione di una causa che dia da sola ragione di una simile fioritura intellettuale, quale Bassano mai aveva conosciuto, soprattutto tenendo conto dell’irriducibilità dei percorsi educativi di queste figure ad un modello di formazione tradizionale, dato che tutto sommato nella più parte dei casi queste personalità rimasero se non estranee spesso laterali anche rispetto alla vita accademica dell’Università padovana. E, d’altro canto, la fortuna nelle scienze e nelle lettere di questo gruppo non può essere riconducibile meramente al contesto formativo del salotto veneto, che fu per certo l’arena concreta in cui si vennero a formare molti di costoro, ma incapace da sé di fornire i temi e le occasioni dei singolari approfondimenti di ricerca di cui furono protagonisti. Piuttosto un altro elemento è candidato ad essere individuato se non come la causa determinante, quantomeno come la miccia che attivò le dinamiche sociali di diffusione della conoscenza e di crescita del dibattito culturale cittadino che resero Bassano un crogiolo ideale alla germinazione di questa percorsi di eccellenza intellettuale, facendo della cittadina una piccola “Atene” del Veneto tra Sette e Ottocento, e questa miccia è evidentemente la straordinaria vicenda editoriale dei Remondini[1]. I Remondini entrano nella storia dell’editoria veneziana e della cultura alta diversi decenni dopo la loro nascita come azienda, la quale fino a metà del Settecento era concentrata nella produzione di stampe[2] a carattere devozionale e popolare, oltre che di carte di pregio - uno dei motivi del successo economico della ditta. È in effetti solo con il 1750 che la casa bassanese viene ufficialmente inserita nell’Arte della stampa veneziana, dopo la strenua battaglia legale intrapresa dai fratelli Giovanni Antonio e Giambattista fin dall’anno precedente contro gli intimoriti editori di Venezia, i quali ambivano a proteggere i loro privilegi dalla forza economica e lavorativa di questa ditta dell’entroterra, unica per numero di impiegati, per quantità e qualità dei torchi utilizzati (diciotto), autonoma nella produzione della carta, e capillarmente diffusa in Europa e fuori Europa dalla rete dei mercanti tesini, veri e propri agenti di commercio[3]. Con l’ingresso nell’arte della stampa, si apre per la casa bassanese la possibilità di concentrare la propria attività economica sulla produzione dei libri, fino a quel momento limitata a pubblicazioni d’occasione e a quella letteratura da risma[4], cosiddetta, che non necessitava del visto della censura, e che per lo più consisteva di abaci, abecedari, libri scolastici, salteri e letteratura medievale di tradizione cavalleresca[5]. Dotata ora di una libreria a Venezia, nel giro di un decennio, tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo XVIII, le licenze di stampa concesse alla ditta bassanese dallo stato veneto quadruplicano, e, nel dato relativo alle licenze complessive concesse alle case editrici, triplicano. I Remondini non si adeguano alle leggi non scritte dell’editoria veneziana, introducendo criteri di competizione e di libero mercato, ristampando volumi che avevano perduto il privilegio di stampa del primo editore - che solitamente gli editori veneziani mantenevano nei fatti anche dopo la scadenza. Il libro remondiniano costa meno, e questo principalmente per la maggiore razionalità della produzione, per l’indipendenza nella produzione della carta e per la particolare efficacia nella distribuzione. In breve tempo è una editoria che conquista l’Europa, la Russia e sbarca finanche nelle Americhe (fig.1; tav.22).

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1. Case Remondini. Bassano del Grappa, Piazza Libertà. La straordinaria vicenda editoriale dei Remondini rese Bassano sede di un percorso di eccellenza intellettuale, facendo della cittadina una piccola “Atene” del Veneto tra Sette e Ottocento.

Il rapido sviluppo dell’editoria remondiniana, negli anni in cui era guidata da Giambattista (1713-1773), in fase di incremento ancora negli anni ’60 nutriva, oltre che dei propri meriti, di quelle ragioni congiunturali che avevano rallentato la produzione veneziana, in particolare l’alterazione del mercato librario, e la policentricità crescente dell’editoria della penisola. Sono gli anni in cui la ditta bassanese può fregiarsi della collaborazione vivace e intraprendente di Valentino Novelletto[6], erudito e raccoglitore di materiali di storia patria, il quale assume l’incarico di principale amministratore della casa editrice. Immersi in un’inattesa crisi produttiva, che veniva imputata complessivamente all’entrata in scena dei bassanesi, gli stampatori veneziani cercarono dal 1764 di porre un argine all’intraprendenza remondiniana, coinvolgendo a più riprese il sovraintendente alle stampe Gasparo Gozzi il quale al principio impostò una politica di mediazione tra le contrapposte pretese, stabilendo un accordo che, nell’allungare i diritti di proprietà letteraria - e pertanto andando incontro alle richieste degli stampatori veneziani - fondamentalmente non frenava l’azione della casa bassanese; ma in seguito, nel 1780, prese decisamente la parte dei veneziani, rendendo perpetuo il privilegio editoriale. Ma fu una soluzione non condivisa da tutti gli stampatori veneziani, e che pertanto non riuscì ad imporsi, consentendo piuttosto di proiettare le ragioni di Giuseppe Remondini, guidati allora dal piano della difesa di interessi particolari a quello dei principi assoluti della libertà di stampa, su cui molti potevano riconoscersi. In questi decenni matura, tra i correttori di bozze della casa editrice, la figura di Giambattista Verci[7], storico bassanese, autore della celebre Storia degli Ezzelini (1779) (fig.2),

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2. Storia degli Eccelini di Giambatista Verci: in Bassano, MDXXLXXIX: nella Stamperia Remondini.  In questi ultimi decenni del Settecento matura, tra i correttori di bozze della casa editrice, la figura di Verci, storico, che diverrà direttore della Stamperia ed avrà anche ruoli politico-amministrativi in città.

del Vocabolario universale latino, italiano e francese (1785) e del Nuovo dizionario istorico (1796); il quale, a partire dal ’74, assumerà incarichi via via più rilevanti dentro la casa editrice diretta dal Novelletto. Gli uffici che Verci via via ricoprì per la gestione della Remondiana lo proiettarono anche entro l’amministrazione cittadina, dove svolse diverse mansioni in qualità di consigliere comunale, di cassiere dell’Ospitale degli Infermi, di massaro del monte di Pietà e di cancelliere, tra gli anni ’70 e ’90. Il caso di Verci è estremamente rivelativo dell’influenza culturale e politica che il mondo costruito attorno alla casa editrice aveva sulla città. E d’altro canto i numeri parlano chiaro. I Remondini erano molto più che la maggiore ditta del bassanese, erano proprio il cuore economico della città, con il suo migliaio di impiegati nella sola Bassano, con la sua struttura produttiva all’avanguardia e con le molte agenzie sparse tra Venezia e l’Europa; dimensioni e caratteristiche, queste, che agli occhi di molti osservatori dell’epoca la facevano apparire come la più importante impresa editoriale allora attiva nel continente. Il fiume di denaro che l’attività remondiniana portava non solo in città, ma nella stanca Repubblica veneta fu uno dei motivi che ne protessero l’attività dai reiterati protezionismi veneziani in questi ultimi decenni di vita della Serenissima. Bassano era conosciuta a livello internazionale essenzialmente e solo per i Remondini. Gli anni che vanno dalla fine dei ’60 alla seconda metà dei ’90, sono quelli in cui la casa bassanese fece decisivi progressi nella qualità dei suoi prodotti letterari, facendo giungere a Bassano opere di grande rilievo, e alimentando non poco il livello dell’interno dibattito intellettuale. Quello che entrò nel circuito culturale della città fu anzitutto un ricco catalogo di libri che spaziava dalla letteratura classica[8] a quella umanistico-rinascimentale[9] fino a quella contemporanea, italiana[10] e straniera (principalmente francese[11]); letteratura di edificazione religiosa[12], di svago[13], scientifica, medica, artistica, architettonica, poetica, pedagogica, filosofica. In modo specifico possiamo osservare come nella prima dominazione austriaca – 1798-1806 – la produzione remondinaina può essere grossomodo così suddivisa per aree tematiche – 14 titoli di religione, 5 di letteratura latina, 10 di letteratura italiana, 6 di pedagogia, 4 di architettura e disegno, 2 di medicina, e i rimanenti 16 di varia “umanità”. Per quanto riguarda l’ambito religioso, gli autori più significativi da ricordare sono Sant’Alfonso de’ Liguori[14], Carlo Massini[15], Sant’Agostino[16] e Paolo Segneri[17]. Nei classici latini ricorrono i nomi di Cornelio Nepote[18], Tacito[19], Virgilio[20], Catullo e Tiberio[21]. La letteratura italiana può annoverare Matteo Maria Boiardo[22] e Jacopo Sannazaro[23], mentre la pedagogia Antonio Genovesi[24] e Carlo Rosmini[25]. Nell’età napoleonica - 1806-1814 - i titoli di religione sono 13, quelli riguardanti i classici greci e latini 2, la letteratura italiana ne conta 39, la storia 2, la filosofia 3, la letteratura straniera 2; il resto è di difficile catalogazione. Per la religione gli autori più ricorrenti rispondono ai nomi di Sant’Agostino[26], Sant’Alfonso de’ Liguori[27], Girolamo Tornielli[28]. La letteratura italiana porta quelli di Dante[29], Petrarca[30], Tasso[31], Della Casa[32], Cesarotti[33]. La filosofia annovera Bacone[34], i classici greci e latini Esopo[35] e Ovidio[36], la letteratura straniera Ossian[37] e Gessner[38], la pedogogia Soave[39]. Nel terzo periodo infine - 1814-1847 - le opere di religione ammontano a oltre 200, quelle di letteratura italiana sono 22, nell’ambito della manualistica scolastica e della pedagogia il numero sale a 40 e scende a 25 per quanto riguarda il campo delle lettere latine. Nella religione sono frequenti i nomi di Roberto Bellarmino[40] e, soprattutto, di Sant’Alfonso de’ Liguori[41], seguiti dai teologi Pietro Gazzaniga[42], Gabrielle Antoine[43], Girolamo Tornielli[44] e dal controversista storiografico Sforza Pallavicino[45]. Nel campo della letteratura italiana si ripetono Dante[46] e Petrarca[47], a cui si aggiungono Boccaccio[48], Tasso[49], Bertola[50] e Poliziano[51]. Gli autori latini sono Cicerone[52], Ovidio[53], Tito Livio[54], Orazio[55], Giulio Cesare[56], Virgilio[57]. La pedagogia conta Soave[58] e Genovesi[59]. A questo punto, se vogliamo operare qualche significativo confronto fra i tre periodi considerati, possiamo osservare che nella prima dominazione austriaca l’area della religione corrisponde a circa il 30% rispetto al totale della produzione edita; scende al 20% nell’età napoleonica e sale al 60% con la Restaurazione. L’autore che ha maggior fortuna è Sant’Alfonso de’ Liguori (fig.3),

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3. Ritratto di Alfonso Maria de’ Liguori, in Theologia moralis sancti Alphonsi de Ligorio…., editio decimatertia, Bassani, suis typis Remondini editit, 1832. Sant’Alfonso de’ Liguori è l’autore più letto nel Veneto nel periodo della Restaurazione anche perché il suo pensiero accentuava la dimensione utilitaristica della religione e del primato papale.

stampato nel primo e, soprattutto, nel terzo periodo in un numero considerevole di copie (alcune opere arrivarono anche ai 20.000 esemplari). Significativamente perché, ricordiamolo, de’ Liguori, l’autore in assoluto più letto in tutto il periodo della Restaurazione nel Veneto, rappresentava una religiosità che dal punto di vista ecclesiologico accentuava la dimensione utilitaristica della religione e del primato papale, in una sorta di confessionalismo nel quale trovava spazio l’unità fra potere temporale e potere spirituale. Più dunque in sintonia con la politica dell’Austria che con quella della Francia rivoluzionaria e napoleonica. Per lo stesso motivo, sono maggiormente numerosi gli autori gesuitici rispetto a quelli di qualunque altra scuola o tendenza, mentre non compaiono i giansenisti. Sant’Agostino, ad esempio, la voce più forte del rigorismo cristiano, risulta edito in età napoleonica, mentre nella posteriore età della Restaurazione non gode di particolare fortuna. Se osserviamo il campo della letteratura italiana, comprensiva anche di tutte le pubblicazioni minori (poesie e sonetti per nozze e vestizioni religiose), si può dire che essa è nettamente maggiore nel periodo francese. Basti pensare che negli otto anni dell’età napoleonica vengono editi 39 titoli, mentre nei 33 anni della terza dominazione austriaca soltanto 22. Specialmente in quest’ultimo periodo, la letteratura italiana subisce una flessione a vantaggio dei classici latini. In ciò si riflettono perfettamente le direttive politico-culturali austriache, nel senso che l’Imperial Regio Governo non vedeva di buon occhio una grande diffusione della letteratura italiana, perché questo poteva concorrere a promuovere un sentire nazionale. In conclusione, il tipo di cultura che emerge dai cataloghi Remondini non è assolutamente romantica. Non a caso mancano completamente gli autori greci, antesignani dell’idea di nazione, mentre abbondano quelli latini, fautori dell’Impero. Questa dicotomia tra classicismo e romanticismo, tra impero e nazione, dimostra quanto pesasse ancora l’eredità settecentesca di tipo erudito e accademico. Del resto, solo nel primo periodo e nei primi anni del terzo periodo, abbiamo la presenza del pre-romanticismo con l’edizione della poesia ossianica per opera di Cesarotti. Sul fronte della cultura pedagogica possiamo osservare che è più elevato il numero dei testi scolastici editi sotto la dominazione austriaca, specialmente nel terzo periodo[60], mentre per quanto riguarda la filosofia, si può dire che i libri pubblicati dai Remondini in tutti e tre i periodi riflettono la condizione del sapere filosofico italiano del tempo. Nettissima è infatti l’affermazione della filosofia dell’esperienza, basti pensare al capostipite, Bacone. Questa linea empiristica-sensistica di marca lockiana aveva trovato in Genovesi e ancora più in Soave i suoi divulgatori e continuatori italiani. La persistenza di questa filosofia evidenzia il lentissimo affermarsi del criticismo kantiano (Soave aveva erroneamente interpretato Kant in chiave lockiana), oltre che dell’ontologismo giobertiano e rosminiano, cultura, questa, del tutto assente nella produzione remondiniana. Insomma anche qui non c’è nessuna vera circolazione delle idee più vive del tempo. Pure nel campo storiografico e giuridico permane fortemente l’eredità settecentesca. Non vi sono infatti vere opere storiografiche, se non le consuete compilazioni erudite di tipo settecentesco[61]; ugualmente nell’ambito giurisprudenziale non si riscontra alcuna novità. Gli unici due testi pubblicati sono quelli di classici di Voet e di Heineccio[62], mentre, naturalmente, non compare alcun libro di carattere politico, tranne alcuni scritti di Barbieri pubblicati però in età napoleonica[63]. Il fermento di questa stagione, che diede una primavera intellettuale indimenticabile alla città sul Brenta, trovò però rapidamente il suo acme a ridosso della Rivoluzione Francese, per poi conoscere una lunga e lenta fase di declino, a partire dagli anni ’90, causata più complessivamente dalle magre sorti che la storia andava riservando alla più complessiva vicenda veneta e dall’incapacità dei Remondini di rispondere in maniera elastica e propositiva alle nuove sfide dell’editoria sorta con la stagione rivoluzionaria. La restante storia della casa bassanese è la storia di un lungo ripiegamento, iniziato con la prima dominazione austriaca e durato negli anni napoleonici, e poi nella seconda e terza dominazione austriaca, fino al 1861, quando i torchi remondiniani cesseranno la loro plurisecolare attività. Ma in questo lungo e lento declino il ruolo di volàno culturale svolto entro Bassano e nel Veneto non venne meno. Prova ne è che, in un modo o nell’altro, tutte le grandi figure di intellettuali che si pongono a cavallo tra ancien régime e restaurazione sono in qualche modo legati con la vita della Remondiniana e i salotti che le ruotavano attorno. 

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