Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Negli ultimi anni della Serenissima e durante la prolungata agonia dell’istituzione dogale a Bassano continua la tradizione illuministica dei salotti non più ristretti alla sola cerchia nobiliare ma aperti alla borghesia intellettuale come casa Baseggio, Barbieri, Vittorelli, Parolini o di recente nobiltà come le dimore degli imprenditori Remondini mentre continua, nel solco della tradizione, la funzione culturale, ospitale e il mecenatismo dei conti Roberti nel palazzo di Bassano e nella villa Alle Acque. Anche sopra il Bassanese aleggia il grande spirito di Canova, se pure raramente presente, nei rapporti costanti con i conti Roberti, anche suoi rappresentanti in affari e amici personali, ma principalmente a Ca’ Rezzonico, la residenza di campagna dell’importante famiglia veneziana. Villa sontuosa, realizzata nel corso del Settecento in tre fasi successive alla cui conclusione (1789-1790) attese il principe Abbondio Rezzonico, senatore di Roma - ultimo della dinastia (Venezia, 1741-Pisa, 1810) - conferendo al complesso i definitivi caratteri di prestigiosa rappresentanza[3]. Già a Roma, nella residenza in Campidoglio, il principe ospitava artisti nordici in Italia per il Grand Tour e nel 1779 fu visitato dal giovane scultore Antonio Canova da poco arrivato nella capitale pontificia; Canova al tempo già stava lavorando in Ca’ Rezzonico a Bassano su commissione del fratello del senatore, il conte Ludovico, a due statue per ornamento del salone[4]; dall’incontro romano nacque un forte sodalizio che culminò, nei primi anni ‘90, con la commissione di una serie di bassorilievi in gesso (figg.1-2)

1AntonioCanovaBriseide

1. Antonio Canova, Briseide consegnata agli araldi, 1793 Milano, Fondazione Cariplo. L’episodio è tratto dall’Iliade ed è uno dei nove gessi eseguiti su commissione del Principe Abbondio Rezzonico per la villa di Bassano.

2AntonioCanovadanzafigliAlcino

2. Antonio Canova, La danza dei figli di Alcinoo, 1794 Milano, Fondazione Cariplo. Episodio tratto dall’Odissea: si tratta della prima rappresentazione canoviana di figure danzanti.

con scene dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide e del Fedone di Platone. Nel 1793 furono collocati Briseide consegnata agli araldi, La morte di Priamo, Socrate beve la cicuta; nel 1794 Il congedo di Socrate dalla famiglia, La danza dei figli di Alcinoo, Il ritorno di Telemaco ad Itaca; nel 1795 Critone chiude gli occhi a Socrate ed Ecuba offre il peplo ad Atena. Il principe senatore Abbondio non solo considerava villa Rezzonico sua residenza privilegiata in terraferma, da lui dedicata “Musis et Amicis”, ma si occupava anche delle necessità del territorio di sua pertinenza nel quale aveva fondato una scuola gratuita per i fanciulli. Per essere esposti a scopo didattico in questa scuola furono eseguiti i due ultimi bassorilievi in gesso con opere di misericordia Dar da mangiare agli affamati e Insegnare agli ignoranti[5]. Altri capolavori canoviani erano collocati nel salone di ca’ Rezzonico al tempo del senatore Abbondio: due leoni modellati su quelli della tomba romana dello zio, Papa Clemente XIII, un busto in gesso dello scultore celebrato da una lapide murata e tuttora esistente: «Hospes quae spectas circum / vim ingenii miratus ...Antonius Canova fecit...» (fig.3).

3LapideCanova

3. Lapide dedicatoria ad Antonio Canova, 1800 c., Hospes quae spectas circum /vim ingenii miratus… Antonius Canova fecit…Bassano del Grappa, ca' Rezzonico. Lapide dedicatoria fatta apporre da Abbondio Rezzonico murata nel salone di Ca’ Rezzonico, testimonia il forte legame dell’artista con i Rezzonico.

Oltre la lapide, due sole opere si sono salvate dell’arredo neoclassico della villa ora collocate nel salone in luogo dei gessi: due grandi dipinti, L’Aurora di Domenico Pellegrini (Galliera Veneta 1759-Roma 1840), artista del circolo veneto gravitante a Roma, opera eseguita al suo ritorno dall’Inghilterra, 1796 ca. (fig.4)

4DomenicoPellegriniAurora

4. Domenico Pellegrini, L’Aurora, 1796 ca. Bassano del Grappa, ca' Rezzonico. Il dipinto, tuttora presente nel salone verrà successivamente accompagnato da La Notte (1835 c.) del vicentino Giovanni Busato (Vicenza 1806 – 1886).

e Il Trionfo della Fede già attribuito a Canova stesso e ora proposto come opera dell’incisore e pittore Martino De Bonis (Venezia 1753-Roma 1810 ca.) amico dello scultore[6]. La spoliazione della villa inizia dopo la morte di Abbondio, ultimo dei Rezzonico e dei due eredi i nipoti Widman, quando, passata ai Pindemonte di Verona, viene venduta a Paolo Baroni (1824)[7]. Il nuovo proprietario tuttavia si preoccupò di arredare convenientemente il salone accostando due nuovi dipinti: La Notte, posta in relazione con l’Aurora e il Trionfo della Carità in relazione al Trionfo della Fede opere del pittore vicentino Giovanni Busato (1806-1886). I due dipinti, condotti nel decennio 1830–1840[8] segnano la fine della decorazione neoclassica e il passaggio alle nuove istanze estetiche del secolo: ne La Notte dominano cadenze romantiche di derivazione nordica mentre ne La Carità, accanto ad evidenti anticipazioni simboliste, prevale l’accentuazione purista. Il fascino di ca’ Rezzonico tuttavia non tramonta completamente: da Paolo Baroni passa per eredità ai Baroni-Semitecolo-Pasolini con un raffinato salotto culturale e letterario di tono altoborghese che nel 1903 ospiterà anche Giosuè Carducci in visita a Bassano. L’affascinante personaggio che fu il principe senatore Abbondio Rezzonico, privilegiando la villa di Bassano fra le numerose proprietà, lasciò segno nel territorio; nato a Venezia nel 1741, fu mandato a Roma alla corte papale e alla sola età di 24 anni fu nominato senatore di Roma dallo zio Carlo Rezzonico, Papa Clemente XIII; il suo Ritratto a figura intera del Senatore Rezzonico. Opera del Battoni N. 81 (come si legge nel documento 3 dell’inventario Widman)[9] probabilmente proveniente da ca’ Rezzonico di Venezia al tempo della suddivisione ereditaria Widman-Pindemonte, è documentato nella villa Rezzonico di Bassano con un piccolo gruppo di altri ritratti di famiglia. Il grande dipinto, a figura intera, eseguito da Pompeo Batoni (Lucca 1708-Roma 1787), uno dei più celebri ritrattisti neoclassici presenti a Roma, non solo lo rappresenta nelle vesti e con le insegne dell’alta magistratura ma nello splendore di una giovinezza tanto radiosa quanto consapevole del rango, sullo sfondo del Campidoglio sua residenza romana e assistito dal genio della pace e della giustizia. Il dipinto, firmato e datato 1766 si trova ora esposto in comodato nella Pinacoteca del Museo Civico di Bassano[10]. L’interesse del senatore per la città non si esaurisce negli arredi della villa e nelle provvidenze benefiche: suo impegno fu anche partecipare al progetto di dotare la città di Bassano di un teatro, in sostituzione del Teatro Vecchio in area Brocchi, divenuto ormai “incomodo”; esisteva anche a Bassano un’Accademia di Musica - istituita dal 1790 e retta da una società filarmonica - con una grande sala collocata nelle proprietà Remondini dietro Contrà delle Grazie, la cui decorazione a parato grigio-rosa con colonne ioniche e finte nicchie è stata recentemente riscoperta e, tuttora in corso di studio, testimonia un’anticipazione razionalista per il progetto del futuro teatro[11]. Si voleva un teatro nuovo secondo le teorie illuministiche, didascalico ed educativo che ponesse fine alle licenze dei comici e del pubblico, disponibile per il ceto borghese, dedicato alle Muse e destinato a sorgere, come un tempio laico, nel cuore della città[12]. Abbondio Rezzonico si rivolse all’amico architetto Giacomo Quarenghi (Rota d’Imagna, (BG) 1744 –San Pietroburgo 1817) già noto in ambito europeo, il quale fornisce un progetto esemplare ma troppo vasto per l’area disponibile e troppo costoso per le possibilità bassanesi, al punto che il progetto integrale, proposto tra il 1800 e il 1802, pubblicato postumo dal figlio Giulio Quarenghi nel 1821 (fig.5),

5GiacomoQuarenghiProgettoTeatroSociale

5. Giacomo Quarenghi, Progetto per il Teatro Sociale di Bassano, 1800 – 1802. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Il progetto originale integrale, non accettato dal corpo accademico bassanese, sarà parzialmente riutilizzato in edifici teatrali di San Pietroburgo.

anticipa nell’ideazione le successive realizzazioni di teatri a San Pietroburgo: dell’ Ermitage, del Palazzo Bisbaroko e del Teatro Pubblico. Il progetto sostenuto dal Rezzonico e dagli intellettuali del suo circolo trovò subito opposizione nel ceto popolare e borghese cittadino per cui, nonostante la riproposizione da parte di Quarenghi nel 1803 di un progetto ridotto nelle forme e nei costi, inoltrato tramite l’architetto veneziano Giannantonio Selva, fu decisamente accantonato dal Corpo Accademico promotore del teatro e fu privilegiata l’ipotesi di un edificio meno monumentale e più consono alle reali esigenze di una nobile cittadina di provincia. Il successivo progetto del nobile Basilio Baseggio (Bassano 1765-1830 ca.) medico, tipografo editore e dilettante di architettura poi riproposto con modifiche dall’architetto Giacomo Andrea Bauto venne realizzato, non senza ripensamenti e successive perizie tra il 1803 e il 1811, inaugurato ufficialmente il 15 settembre con l’opera buffa in musica La donna di più caratteri ossia Don Papirio. La facciata, posta in contrà delle Grazie, ancora ristretta dalle mura viscontee, non aveva la monumentalità inizialmente prevista ma era tuttavia dignitosa e consona alla cortina dei palazzi attigui[13]. Tuttavia il teatro doveva essere certamente già agibile nel 1807 se fu provvisoriamente aperto al pubblico il 16 agosto con l’esecuzione di una cantata prodotta dall’Accademia Filarmonica in onore dell’onomastico di «S. M. Napoleone, imperat. de’ Francesi e Re d’Italia» solennemente celebrato a Bassano con la presenza di Giuseppe Casati prefetto del Dipartimento del Tagliamento nel quale Bassano era stata inserita proprio nel 1807[14]. Né la cerimonia nel nascente teatro fu l’unica: con impegno ancor maggiore, nella sala di palazzo Ferrari - ora Sturm - fu allestita dalla “piccola città di Bassano” una Esposizione degli Artisti Bassanesi viventi nel cui Catalogo, apparentemente anonimo ma redatto da Bartolomeo Gamba direttore dell'Editrice Remondini, compare l’eccellenza della produzione incisoria bassanese; di quella Calcografia Remondini cui «a buon diritto si riconosce il semenzaio dell’intaglio in rame» mentre per pittura, scultura e disegno si lamenta «la manchevolezza assoluta in cui siamo ... di pubblici presidii, di benefiche istituzioni»[15](fig.6).

6Catalogoartistibassanesi

6. Catalogo degli artisti bassanesi viventi. In cui si descrivono alcune delle loro migliori opere esposte in Patria il dì 16 agosto 1807 per festeggiare il nome dell’ Augusto Nostro Sovrano Napoleone il Grande. Bassano, Tipografia Remondiana, 1807. Copertina. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Presentato in forma esclusivamente redazionale, in realtà fu concepito e curato dall’allora direttore della tipografia Bartolomeo Gamba.

E’ naturale che in tale contesto primeggi la scuola d'intaglio in rame a granito con opere tradotte da importanti dipinti accademici italiani e stranieri e i traduttori sono i nomi più celebri dell’intaglio bassanese: i due Schiavonetti, Freschi, i due Vendramini, Suntach, Zanon; inoltre i «migrati a Roma» Folo, Fontana, Bonato, Balestra, i residenti altrove: Aliprandi, Verico, Viero e i «giovani incisori di fondata espettazione». Manca all’appello il massimo incisore remondiniano bassanese, Giovanni Volpato (Bassano 1735-Roma 1803) che, nei passaggi da Bassano a Venezia (1762) a Roma (1771) aveva ampliato, all’ombra di Canova e dei massimi esponenti neoclassici internazionali, le proprie competenze dall’incisione all’archeologia, all’antiquariato e alla produzione ceramica dei richiestissimi biscuit[16]. Il “celator eximius” (come dal ritratto di Angelica Kauffmann inciso da Rafaello Morghen) era infatti mancato nel terzo anno del XIX secolo. Per la sezione pittura figuravano Domenico Pellegrini (Galliera 1759-Roma 1840) con un dipinto da incisione di Schiavonetti, Francesco Vancolani (Bassano 1773-1822)[17] con copia da ignoto, Sebastiano Chemin (Bassano 1756-1812) con paesaggi in miniatura, Giovanni Marcon con dipinti su ceramica, Roberto Roberti (Bassano 1786-1837)[18] con due copie da Canaletto prestate da Canova; nel disegno il maestro Carlo Paroli (Bassano 1754-1823) e Giovanni Bianchi (Bassano 1775-1826); nella scultura emerge Antonio Bosa (Pove 1777-Venezia 1849) con il disegno circostanziato della sua statua L’Armonia. Concludono il catalogo un’Ode dell’abate Giuseppe Barbieri a Napoleone «... e tu, che il fren d’Europa alto correggi...» e un sonetto del letterato poeta Giuseppe Bombardini per il prefetto Casati[19]. La condizione non felice della pittura bassanese primo ottocento ne emerge chiaramente: il più dotato degli artisti, Domenico Pellegrini si limita ad una buona edizione pittorica da stampa; Chemin conduce una pittura minuta e laccata; Francesco Vancolani e Roberto Roberti seguono la moda in auge della copia accademica; sovrastati dalla bravura incisoria riescono ad emergere per esattezza tecnica i disegnatori e per originalità il povese Bosa, unico scultore, attivo tra Bassano, Trieste e Venezia[20]. Forse conseguenza di questa situazione la necessità di fondare a Bassano una scuola di disegno istituzionale a sostituire, o meglio integrare, i due insegnamenti privati già esistenti: le scuole di Giulio Golini (Rimini 1710-Bassano 1780) e di Carlo Paroli che già da tempo completavano l’educazione umanistica nelle migliori famiglie bassanesi sia nobili che borghesi. Durante il periodo napoleonico, nell’ottica della promozione dell’istruzione di base e del conseguente riordino delle “Pubbliche Scuole Popolari” veniva inserita una "Scuola di Elementi di Disegno, di Figura e di Ornato" rivolta ai fanciulli dai dodici ai sedici anni «non solo ai giovani che voglion iniziarsi alle Belle Arti ma altresì che sono destinati alle Arti Meccaniche, come all’Oreficeria, all’Intaglio in legno, alle Arti di Fabbro, Marangone ecc. potendo essi ritrarre grande vantaggio dalla conoscenza dell’Ornato nell’esercizio delle loro Professioni...» come recita un “Avviso” del podestà Stecchini emanato il 7 ottobre 1809[21]. Al solenne discorso di apertura pronunciato da Bartolameo Gamba il 19 novembre 1809 fece seguito l’approvazione municipale il 20 marzo 1810 e prese dunque avvio la Scuola Comunale di Disegno divisa in classi e corsi specifici, conclusa ogni anno con il solenne conferimento di premi ai meritevoli e vigilata dal comune attraverso un organo di tutela cui partecipava un membro dell’Accademia di Belle Arti di Venezia[22](fig.7).

7SalaScuolaDisegno

7. Sala superiore della Scuola Comunale di Disegno, fotografia 1920 ca. La foto documenta la situazione dell’aula della Scuola di Disegno istituita nel 1810 e in seguito collocata nella nuova sede entro il Castello.

La direzione fu affidata al disegnatore bassanese Carlo Paroli con la nomina a Maestro di Disegno Normale e di Elementi: educato all’Accademia Clementina di Bologna e a Milano con Carlo Bianconi, la tenne fino alla morte nel 1823. Gli succedette Bartolomeo Giorda (Venezia 1773-Bassano 1833), bassanese d’elezione che fu sostituito dal conte Francesco Roberti (Bassano 1789-1857), già allievo del Paroli, vincitore di concorso e affermato disegnatore e pittore. Durante il suo lungo insegnamento la tutela sulla Scuola Comunale di Disegno passò, per delega comunale al Consiglio dell’Ateneo Bassanese, l’illustre istituzione culturale nata nel 1845 che sostituì il membro accademico veneziano nella valutazione dei premi. La direzione di Francesco Roberti, cessata con la morte nel 1857, fu certamente la più significativa del periodo: non solo raccolse i frutti degli insegnamenti precedenti ma collaborò alla formazione di un’importante generazione di artisti, fiorita alla metà del secolo, che ristabilì i valori dell’arte bassanese. Il successore, il valente pittore Angelo Balestra (Bassano 1803-Roma 1881) bassanese ma troppo impegnato a Roma, è costretto a dimettersi nel 1868; si chiude così la prima fase “storica” della valorosa scuola il cui merito non è soltanto l’aver rivalutato capacità e prestigio ma soprattutto l’aver formato una classe popolare di artigiani di eccellenza, consapevoli e orgogliosi del loro dignitoso mestiere anche se, talvolta, più che rappresentare esiti di originalità d’invenzione si attestarono in virtuosismo esecutivo. Il convulso periodo politico 1797-1813, con il passaggio all’Austria dal 1798 al 1803, il ritorno dei Francesi e il conseguente inserimento di Bassano dal 1807 nel Dipartimento del Tagliamento aggregato alla provincia di Treviso nel napoleonico Regno d’Italia, benchè abbia visto la città e il territorio più volte teatro di battaglie, non aveva tuttavia impedito iniziative culturali e sociali: all’indebolimento dell’élite nobiliare stavano corrispondendo una nuova coscienza borghese e i primi tentativi imprenditoriali collegati a nuove maestranze artigianali che, nonostante le difficoltà, si consolideranno nel corso del secolo. Dal 1813 e, definitivamente dal 1815, tutto il Veneto ritorna sotto l’impero asburgico dove rimarrà sino all’annessione all’Italia del 1866. In questo clima matura un primo atto artistico di deferenza verso la casa d’Austria in occasione delle quarte nozze di S. M. I. R. A. Francesco I con Carolina Augusta di Baviera nel 1817. Leopoldo Cicognara, intimo di Canova e Presidente della veneziana Accademia di Belle Arti, propone e realizza - in sostituzione dell’usuale tributo in denaro per l’augusto evento - un tributo in opere d’arte per la decorazione dell’appartamento dell’imperatrice. Vengono prescelti, oltre ovviamente ad un’opera di Canova La Musa Polinnia, statua a grandezza naturale, un’ Ara con Baccanti a rilievo del bassanese Antonio Bosa (Pove 1777-Venezia 1849) (fig.8)

8BosaDalaAraBaccanti

8. Antonio Bosa - Giuseppe Dala, Ara con Baccanti scultura in marmo a rilievo, 1815 ca, acquaforte. Delle opere d’arte inviate a Vienna all’Imperatrice Carolina riprodotte da valenti incisori resta memoria nel lussuoso volume curato da Leopoldo Cicognara (1818).

e un’ Ara con Fauni di Bartolomeo Ferrari (Marostica 1780-Venezia 1844); un vaso in marmo decorato a bassorilievo con Le nozze di Alessandro e Rossana del novese Giuseppe De Fabris (Nove 1790-Roma 1860) (fig.9)

9DeFabrisFontana

9. Giuseppe De Fabris – Pietro Fontana, Le Nozze di Alessandro e Rossana vasoin marmo decorato a bassorilievo, 1815 ca, acquaforte.

al momento già residente a Roma[23]; due quadri prospettici del conte bassanese Roberto Roberti Il passaggio della Corte Imperiale sotto il ponte di Rialto (fig.10)

10RobertiMartens

10. Roberto Roberti – Frédéric Martens , Il passaggio della Corte Imperiale sotto il Ponte di Rialto, 1815 ca, acquaforte. Nell’ "Omaggio" alla corte di Vienna questa opera si accompagna alla Veduta della Riva degli Schiavoni sin dal Regio Palazzo e Giardino, 1815 c., acquaforte di Antonio Baratti.

e la Veduta del Reale Palazzo e Giardino oltre ad opere di pittura e scultura di Francesco Hayez, Giovanni De Min, Lattanzio Querena, Liberale Cozza, Giuseppe Borsato, Luigi Zandomeneghi, Rinaldo Rinaldi, Angelo Pizzi e Bartolomeo Bongiovanni[24]. La scelta dei quattro artisti bassanesi da parte dell’esigente Cicognara testimonia non solo la predilezione per i territori cari al Canova e la deferenza verso la casata Roberti legata da vincoli di affetto e di interessi, ma i valori pittorici e scultorei[25]che si andavano affermando nel secondo decennio del secolo. Ma è Bassano stessa che, dopo la mostra del 1807 e la conseguente istituzione della decisiva Scuola di Disegno nel 1809-1810, allestisce una Esposizione di Opere di Artisti Bassanesi fatta nella Sala del Palazzo Municipale in occasione del passaggio in città di S. M. I. R. A. Francesco I e dell’arciduca Francesco Carlo nei giorni 22-23 aprile 1825[26](fig.11).

11Esposizioneartistibassanesi

11. Esposizione di opere di artisti bassanesi fatta nella sala del palazzo municipale nella faustissima occasione che S.M. Francesco I imperatore e re in unione di S.A.I. il serenissimo arciduca Francesco Carlo onorarono di loro presenza la regia città di Bassano nei giorni 22-23 aprile 1825, Bassano, Baseggio, 1825, copertina. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.

Anche in questo caso l’esposizione è divisa nelle sezioni di Pittura, Scultura, Intaglio e Disegno ma presenta un ventaglio di artisti locali più ampio e variegato: sono presenti gli “antichi” Jacopo, Francesco, Leandro e Girolamo Dal Ponte con Giulio Martinelli e Giambattista Volpato; i già noti Domenico Pellegrini, Sebastiano Chemin (fig.12)

12SebastianoChemin

12. Sebastiano Chemin, Ritratto del naturalista Giambattista Brocchi, firmato e datato 1798. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 102. A tergo la tela porta la segnatura a penna “Ritratto di / Giamb. Brocchi / Seb. Chemin pinx / an. 1798”.

e Roberto Roberti mentre si affacciano i nuovi Francesco Roberti, fratello minore di Roberto (Bassano 1789-1857), Antonio Marinoni (Bassano 1796-1871) la nuova promessa del paesaggismo bassanese; Giustiniano Vanzo Mercante (Bassano 1808-1887) eccezionale figura di borghese colto e illuminato, pittore, consulente, collezionista e generoso filantropo già allievo di Carlo Paroli e a Venezia di Teodoro Matteini che volgerà il suo linguaggio pittorico dal neoclassico al purismo ed al romanticismo[27]; Francesco Trivellini (Bassano 1812-1897). Per la scultura sono presentati un gruppo e alcuni bozzetti di Orazio Marinali, due importanti plastiche di Giuseppe De Fabris e un’opera di Domenico Passarin (Bassano 1802-Venezia 1867). Per il “disegno” è presente una folta schiera, il fiore della nuova scuola, con inevitabili presenze di disegnatori puri (Paroli), di pittori (Angelo Balestra, Francesco Roberti, Giovanni Bianchi) e incisori (Aliprandi, Lovison, Nardello, Viviani) ad affermare quasi l’indispensabilità fondamentale della pratica; foltissimo infine il gruppo degli incisori a testimoniare la continuità e la valenza della tradizionale scuola calcografica, sia nei bassanesi residenti che nel numero degli emigrati a Roma e altrove: ben trentadue “intagliatori” con oltre quaranta opere a taglio e a granito[28].

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