Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Di là del Brenta nel comune di Angarano, nel borgo di Rivarotta, al confine con il comune di Nove, vi era dal 1695, come abbiamo già accennato, una fabbrica di cristalline di proprietà di Gio Maria Moretto. Dopo il breve episodio societario con Gio Batta Antonibon, nel 1739 la fabbrica è gestita dai Moretto che affermano di produrre anche “latesini”, senza aver ottenuto le agevolazioni daziarie accordate ai Manardi[54]. Nel 1752 Gio Maria Moretto venderà la sua fabbrica di “cristalline” a Giovanni Maria Marinoni trasferendosi a Treviso. A Giovanni Maria deve essere subentrato molto rapidamente Baldissera Marinoni[55] affiancato dall’esperto ceramista, Damiano Bernardi, proveniente dalla manifattura Antonibon. Questi nel 1765 diventa il direttore artistico e nel 1773 avvia la produzione di maiolica fina[56]. Circa tre anni dopo, alla morte di Baldissera, la moglie Ippolita prende la gestione dell’azienda e, andatosene Bernardi, farà di Gio Batta Fabris il nuovo direttore[57]. Come Fabris, molti artisti di talento attivi dai Marinoni provengono dai laboratori dell’Antonibon, provocando l'ira dell’imprenditore novese. Nel 1777 Ippolita chiede le stesse esenzioni fiscali di cui godono Cozzi ed Antonibon[58]. In una precisa relazione sulla manifattura Marinoni si legge che per due anni dopo l’acquisto l’impresa rimase ferma, bloccata dal diritto di privativa dell' Antonibon, ma - aggiunge - i Marinoni poterono riprendere «poco tempo dopo» per «qualche decadenza del Negozio degli Antonibon» l’attività e che … venne dalla signora Ippolita accresciuta e perfezionata. Descrivono un’azienda in fiore dal crescente successo. Il “modelista” Gio Batta Fabris è al lavoro e sotto di lui 35 ceramisti e 10 allievi, alcuni provenienti da Crema, Treviso e Pesaro. Specificano che la produzione delle porcellane non ha mai preso avvio[59], pur servendosi dei suggerimenti del cognato del Fabris, Jean Pierre Varion[60]. Dall’inventario sommario traspare la vivacità dell’impresa ceramica[61]. L’indagine dei veneziani vede favorevolmente il lavoro della vedova di Rivarotta solo nel caso in cui non rechi danno all’Antonibon[62]. Il 20 Luglio 1778 si giunge al confronto diretto fra le due manifatture: un incaricato dei Cinque Savi della Mercanzia visita le due fabbriche intervistando proprietari e direttori, consultando i libri e facendo portare a Venezia due casse con i prodotti dei contendenti: ambedue presentano, oltre alle maioliche e terraglie, piccole sculture, chiccare e vasetti in porcellana[63]. I periti veneziani dichiarano i pezzi di Antonibon - Baccin «di miglior qualità, molto più perfette e ben travagliate.» Il 6 Febbraio 1779 i Cinque Savi decidono di non concedere il privilegio alla vedova Marinoni, senza però vietarle di produrre[64]. Fallito il ricorso, per Ippolita sarà l’inizio della fine. Nel 1781 cederà sottoscrivendo un accordo: «Il Baccin acquistava dalla Signora Ippolita Meneghini (…) tutte le maioliche cotte, crude e biscotte esistenti nella fabbrica di Angarano, e nel negozio di Venezia, per 1000 ducati»[65]. Tre anni dopo Gio Batta Fabris prenderà in affitto la fabbrica dei Viero a Rivarotta per produrre maioliche, terraglie e porcellane, ma, a causa della spietata concorrenza del Baccin, il progetto fallirà: Fabris partirà così per Este e la fabbrica verrà rilevata dallo stesso Baccin[66]. Abbiamo pochissime ceramiche che possiamo assegnare con sicurezza alla manifattura Marinoni – Fabris. La più celebre, anche perché nota da tempo ed a lungo considerata l’unico pezzo certo di questa manifattura, è lo scaldino del Museo Civico di Torino a Palazzo Madama (n. inv. C/2571) che porta la scritta «Fabrica Marinoni /Angarano» (fig.4).

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4. Fabbrica Marinoni Fabris, Angarano (siglato Fabrica Marinoni /Angarano). Scaldino. Torino, Museo civico d’arte antica, Palazzo Madama. Il manufatto torinese costituisce l’unica testimonianza della produzione della fabbrica di Angarano attestata nel 1765, quando Damiano Bernardi, proveniente dalla manifattura Antonibon, ne diventa il direttore artistico e nel 1773 vi avvia la produzione di maiolica fine.

Il mercato ha presentato negli ultimi anni altri pezzi marcati: una veilleuse a torre dal carattere originale con insegne araldiche d’invenzione, motti e scritte, tra cui «Ioannes Baptista/ De Fabris/ Fecit/ Angarani/ 1780», oggi al Museo Civico della Ceramica di Nove[67]; un grande vaso da mostarda, stilisticamente coerente con la veilleuse, che porta al piede la scritta «Fabrica Angarano». La qualità materica di questi pezzi è buona, brillante lo smalto, fine la pittura ma un po’ grossolana la decorazione plastica, come le prese a forma di uccellino e le anse a ramo fogliato. Indubbiamente la similitudine materica con i prodotti dell’Antonibon è notevole. Incontriamo qui la rosa a gran fuoco col «rosso Antonibon» … insomma siamo in una produzione gemella di quella dell’imprenditore novese. Altri pezzi di maiolica vengono assegnati alla produzione di Angarano sulla base di un orciolo presente sul mercato qualche anno fa. La sua morfologia non è quella dell’Antonibon, però porta dipinto in una riserva un paesaggio con il ponte di Bassano. Oltre ai due albarelli con cui è stato trovato, due grandi vasi con coperchio coerenti sono nelle raccolte del Castello Sforzesco di Milano[68]. Ed ancora, più recentemente, ad un’asta genovese è comparso un altro orciolo affine che, in una cornice rocaille, portava un piccolo gruppo di fiori dipinti a gran fuoco[69]. Per quel che riguarda la porcellana Marinoni-Fabris conosciamo solo delle citazioni librarie: W. Chaffers nel 1870, registra una marca «Gio Batta Fabris/Fecce» su «un grande vaso di porcellana a forma rocaille, dipinto con fiori e decorato all’apice ed al piede con foglie e fiori in rilievo con anse rocaille», riconoscendone la coerenza stilistica con i prodotti novesi[70]. De Mauri nel 1924 scrive di «un gruppo di figurine simile per la pasta della porcellana e la modellazione, alle porcellane lavorate a Venezia, a Bassano ed a Nove», recava la marca «Angaran 1779»[71]. Certamente la produzione di maiolica in un’azienda attiva per più di trent’anni deve essere di notevoli quantità, ben più scarsa quella di porcellana, ma esistente. Molto probabilmente non le riconosciamo perché troppo simili alla produzione degli Antonibon. 

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