Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Nel corso dei secoli Bassano aveva cercato di garantire in modo continuativo un minimo di assistenza sanitaria pubblica alla popolazione più povera, affidandone la gestione al Consiglio nobile che la delegava ad alcuni suoi membri nominati annualmente "provveditori alla Sanità". Tale prassi, rispettata dal 1798 dagli Austriaci, venne mantenuta inalterata anche dai nuovi governanti che confermarono la commissione esistente alla fine del 1805, formata allora da tre provveditori: il conte Giovanni Battista Roberti e i nobili Nicolò Compostella e Andrea Tattara (che aveva anche la funzione di podestà nello stesso periodo), per tutto il periodo del Regno italico. Al Consiglio spettavano inoltre le nomine del "protomedico", che fungeva da medico della popolazione povera e da ufficiale sanitario, e del "litotomo" che eseguiva gli interventi chirurgici minori. Questi due incarichi erano affidati rispettivamente al dottor Antonio Larber dal 1761 e al chirurgo Fabio Gasparini dal 1789, entrambi continuamente riconfermati. A costoro si aggiungeva il dottore Giovanni Locatelli che dirigeva l’ospedale per gli infermi poveri. Se Bassano disponeva di una modesta forma di sanità pubblica, i paesi dei dintorni ne erano stati sprovvisti per molto tempo e solo negli anni più recenti erano state istituite delle condotte. A Pove dal 1805 operava il dottor Giuseppe Caffi di Angarano, a San Nazario e nella zona limitrofa fino a Solagna compresa il dottor Giorgio Lunardoni; a Cismon e a Rossano c’erano due altri medici condotti di cui non ci sono giunti i nomi. Nell’ottobre del 1807 arrivò in città, dove si trattenne fino alla fine dell’anno, il dottor Luigi Sacco, nominato dal Governo direttore delle operazioni di vaccinazione pubblica obbligatoria per i bambini, ma già prima della sua comparsa più di un centinaio di bambini era stato vaccinato dai medici locali. In città nel 1808 esercitavano privatamente dodici medici, due chirurghi, due flebotomi, tre levatrici, quattro farmacisti e quattro droghieri che vendevano anche articoli sanitari. Curiosamente mancavano invece i veterinari (in realtà erano presenti all’epoca un po’ ovunque uomini di estrazione contadina che sapevano curare in modo empirico gli animali, ricorrendo a conoscenze e metodi tramandati da una generazione all’altra) ma vi suppliva all’occorrenza il dottor Larber[35]. Con l’unione di Romano a Bassano, il Consiglio deliberò l’istituzione per il 1810 di una nuova condotta medica triennale per l’area comprendente Romano, San Zeno e il quartiere Revoltella, affidandola al dottor Giovanni Battista Fabris. Si giunse così alla copertura di buona parte del comprensorio municipale bassanese, allargato negli ultimi anni con le aggregazioni dei comuni vicini. Si cominciava in questo modo a porre le basi di una migliore tutela sanitaria del territorio che, per quanto decantato per la sua salubrità, presentava molti rischi per la salute dei suoi abitanti. Interessante a tale proposito è lo studio pubblicato nel 1808 dal chirurgo comunale Fabio Gasparini sull’andamento della mortalità infantile nel bassanese, per quanto limitato all’analisi di un solo anno. Da esso emerge che in città la presenza di un controllo sanitario più capillare faceva sì che i decessi si aggirassero attorno al 25% delle nascite (352 nati, 97 morti), mentre le carenze dei paesi del circondario facevano aumentare la mortalità fino al 50% circa, con il picco a Cartigliano dove si arrivò al 66,6% (87 nati, 58 deceduti). Le cause venivano individuate dall’autore nella cattiva alimentazione e negli improvvisi sbalzi di temperatura a cui i neonati erano esposti nella stagione fredda, alle quali si intrecciavano comportamenti superstiziosi, come nutrire nei primi giorni di vita i neonati con olio di mandorle dolci che creava una patina impermeabile nello stomaco impedendo l’assorbimento delle sostanze nutritive, e la povertà.
La massiccia presenza dei militari favoriva anche l’aumento della prostituzione e in quegli anni si ebbe un sensibile propagarsi delle malattie veneree, in particolare dalla sifilide. Incaricato nel 1812 di svolgere delle indagini su tale problema, il commissario di polizia Tommasoni scoprì che molti giovani delle classi soggette alla leva contraevano volontariamente la sifilide e la curavano blandamente perché tale malattia li esonerava dal servizio militare; inoltre frequentemente chi ne soffriva invece di rivolgersi ai medici preferiva ricorrere a presunti guaritori o, se donne, alle levatrici che vendevano prodotti privi di efficacia curativa[36]. All’inizio dello stesso anno gli amministratori bassanesi avevano dovuto occuparsi di un’altra minaccia per i cittadini. Il 17 gennaio il medico delle carceri Pietro Maria Gregori li informò di avere diagnosticato tra i detenuti alcuni casi di tifo in atto già da alcuni mesi. L’intervento immediato della commissione alla sanità sembrò riuscire a limitare il contagio all’interno delle carceri, ubicate in una porzione del soppresso monastero di San Giovanni, ma il 12 agosto il dottore Francesco Tavelli comunicava di avere riscontrato il tifo petecchiale in una giovane puerpera abitante nel quartiere Revoltella, che fu immediatamente messa in isolamento con una guardia armata davanti alla porta della sua camera. In una ventina di giorni la donna guarì ma nel frattempo il 2 settembre il dottore Giovanni Larber (figlio di Antonio) avvisava che una donna abitante in città nella contrada di Porto di Brenta aveva anch’essa contratto il contagio. Si trattava tuttavia di casi sporadici e che si risolsero velocemente e senza altre conseguenze, almeno a breve termine. Intorno allo stesso periodo (28 agosto) il Consiglio municipale rendeva più capillare la rete dell’assistenza sanitaria, deliberando la nomina di un medico per i quartieri suburbani Villa e Prè (fu scelto Pietro Agostinelli contemporaneamente impiegato nell’ospedale cittadino), di uno per i quartieri rosatesi aggregati Baggi, Travettore e Ca’ Dolfin (Paolo Compostella) e di uno per Angarano. Alcuni mesi dopo venivano confermati nelle condotte di Pove-Solagna e di Romano-Cassola-San Zeno-quartiere Revoltella rispettivamente i dottori Giuseppe Caffi e Giovanni Battista Fabris. Nella seconda parte dell’estate del 1813, alcuni casi di vaiolo che colpì bambini e ragazzi residenti in città creò allarme tra gli amministratori bassanesi, ma si risolse tutto nel giro di circa un mese. Ai tanti problemi che la città si trovò ad affrontare in concomitanza alla caduta del Regno italico, si aggiunse all’inizio del 1814 un’epidemia di tifo che fece numerose vittime. I primi segnali si erano avuti nel dicembre del 1813 con il ricovero di una decina di soldati austriaci nell’ospedale militare provvisorio, situato nell’ex monastero dei Riformati, colpiti da febbri sospette. Nonostante si fosse cercato di isolare ai Riformati i soldati ammalati, tenendoli lontani da quelli feriti e dai civili ricoverati nell’ospedale di San Francesco, il morbo si diffuse velocemente nei primi mesi dell’anno procurando la morte a numerosi cittadini[37]. In quegli stessi mesi si cominciò a studiare un piano per migliorare ulteriormente la rete di assistenza sanitaria del territorio, ma l’emergere di due opposte fazioni, entrambe mosse da motivi di interesse economico e clientelare, all’interno del Consiglio e nella stessa commissione creata per l’elaborazione del piano contrappose i savi Giuseppe Baroncelli e Marco Antonio Baggio da una parte e il loro collega Nicolò Compostella dall’altra. Quest’ultimo si appellò per sostenere il proprio progetto, che garantiva effettivamente una migliore copertura sanitaria alla popolazione del territorio, al podestà Bombardini, il quale si rivolse a sua volta al prefetto del Bacchiglione Tornieri, ottenendone probabilmente un assenso di massima dato che una statistica posteriore al 1816 riporta per Bassano (compresi i quartieri Prè, Revoltella e il borgo Angarano) la presenza di diciassette medici comunali e di tredici levatrici, un numero e una suddivisione delle condotte che si avvicinava molto a quanto era stato proposto dal Compostella[38]

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