Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Per dare concretezza alla storia politica della Bassano nell’età post-unitaria non possiamo esimerci dal fornire delle indicazioni sulle trasformazioni strutturali che investirono la città a cavallo tra XIX e XX secolo. Bassano all’indomani della sua annessione al Regno d’Italia, appariva come una piccola cittadina, con 12.500 abitanti, se si conta, oltre al centro storico, i diversi quartieri del circondario: Angarano, Quartiere Revoltella, Quartiere Villa, Quartiere Prè, Corporazione dei Quartieri Baggi, Ca’ Dolfin, Travettore (Campese verrà aggiunto nel 1878 e Valrovina solamente nel 1938)(fig.1).

1GiuseppeMarini

1.  Giuseppe Marini, Carta Topografica della regia Città di Bassano e suo territorio (1833), inchiostro ed acquarello su carta. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Mappe, ingr. 107.776. Nella magnifica mappa del Marini il centro storico di Bassano e il circondario.

Riassumendo i dati ricavabili da una statistica pubblica del febbraio 1866, possiamo ricavare un quadro abbastanza chiaro. A fronte di un elevato numero di contadini (2299), vi era una porzione di popolazione - tutto sommato non insignificante - che svolgeva attività di tipo artigianale e commerciale (1483), 63 ecclesiastici, poco più di un centinaio tra podestà, assessori, impiegati regi, provinciali, centrali, comunali, amministrativi, sanitari[1]. Confrontando questi pochi dati con la situazione della cittadina nell’età della Restaurazione[2], si può notare come essa abbia patito una sostanziale immobilità, se non un vero e proprio processo di lenta regressione economica e sociale. Questo appare chiaro nel confronto delle proporzioni interne tra i settori lavorativi, tra le classi, e nello sviluppo demografico, pressoché nullo, se non per il dato tra nati e morti che pare leggermente migliorare. Diminuisce col tempo invece il numero di famiglie, e questo influisce nel sostanziale blocco della crescita urbana[3]. Bisogna dire che questa situazione di stallo traeva le sue origini sia nel deperimento che nel secondo Settecento vissero alcune attività manifatturiere che avevano fatto la fortuna della cittadina, troppo in ritardo rispetto all’accelerazione economica avutasi con la rivoluzione industriale nel Nord Europa, sia per gli esiti della stagione napoleonica, che aveva letteralmente dissanguato le terre venete con le campagne militari che si susseguirono dal 1796 al 1813. A ciò si aggiunga una serie di ulteriori problemi che vi furono dopo il passaggio sotto l’Austria: modifiche nell’organizzazione territoriale, la carestia del 1816-17, la trasformazione di Bassano in Città Regia, con tutti gli aggravi amministrativi e fiscali che ciò comportava, le imposizioni fondiarie, che costrinsero ad indebolire ulteriormente i settori manifatturieri, e poi ancora l’epidemia di colera del 1833, i debiti contratti con l’insurrezione del 1848, la crisi della vigna e dei bachi da seta, le spese militari e ospedaliere imposte alla città nel 1859, e da ultima la creazione di una linea ferroviaria che da Verona andava a Trento e Bolzano, rendendo secondaria quella che fino ad allora era la via preferenziale, la Valsugana, per raggiungere il Nord, e dunque isolando ancor più Bassano[4]. La crisi della grande produzione manifatturiera, che troverà il suo picco dopo il ‘48, conferirà, per via negativa, alla Bassano del secondo Ottocento, le caratteristiche di una città a trazione commerciale e artigianale, retta però da un'economia essenzialmente agricola. Questo ritarderà lo sviluppo dell’industria, che sarà rimandato agli anni ‘20 del Novecento. A Bassano dunque la proprietà fondiaria teneva le redini dell’impianto sociale complessivo. Una trentina di famiglie detenevano la stragrande maggioranza del territorio coltivabile; tra queste ricordiamo i Dolfin Boldù, i Compostella, i Michiel, gli Stecchini, i Brocchi, i Roberti, gli Antonibon, gli Agostinelli, i Fasoli, i Cantele, i Bombardini, i Chemin-Palma, i Vanzo-Mercante, i Tattara, i Guerra, i Caffo, i Mattielli, i Vittorelli, i Remondini, i Favero, gli Jonoch, i Freschi, i Negri, i Carli, i Chiminelli. Queste famiglie, che avevano acquisito il possesso di proprietà fondiarie grazie alla disponibilità finanziaria derivata da antiche attività commerciali, spesso abbandonate, non erano interessate a sviluppare l’economia agraria, ma vivevano della rendita di questi terreni coltivati a mezzadria. Questa mancanza di vitalità da parte del ceto proprietario aveva come conseguenza una forte stagnazione economica[5]. Analizzando le colture bassanesi nel decennio tra il 1870 e il 1880, grazie ai dati raccolti dal Comizio agrario, l’atteggiamento passivo dei proprietari mostra i suoi esiti. Nel panorama agricolo dominano su tutto i cereali, coltivati in maniera intensiva, e in particolare frumento, granoturco, avena e segale. Vi è poi una certa presenza di uliveti. Si coltivano anche legumi, asparagi, alberi da frutto. Infine il vino, che se era stata una produzione particolarmente forte nel territorio, dal 1850 subì un forte colpo dalla diffusione dell’oidio, una malattia che distrusse pressoché tutta la produzione - e solo alla fine del secolo essa tornerà sui livelli precedenti alla crisi[6]. A parte il tabacco coltivato nella zona della Valbrenta[7], non si può dunque dire che l’area del Bassanese brillasse per varietà e originalità della produzione agricola, priva di una linea produttiva dato il disimpegno dei proprietari e dunque fondamentalmente lasciata in mano a contadini poveri e ignoranti. Con fatica si vedrà, a partire dagli anni ’80, un miglioramento della zootecnia, e al contempo si può registrare un colpevole ritardo nell’aggiornamento degli attrezzi agricoli, così come di altre tecnologie agrarie, come la bachicoltura, che dal 1856 aveva subito danni gravissimi dalla pebrina e dall’atrofia parassitaria[8]. E così la sericoltura restava appannaggio di poche famiglie incapaci di attivare un rinnovamento tecnologico e di rilanciare la produzione; e un analogo discorso vale anche per l’apicoltura. Il lavoro contadino occupava all’incirca il 40% della popolazione complessiva di Bassano. Inserito per la sua gran parte nel sistema della mezzadria, il mondo contadino bassanese viveva con grandi difficoltà economiche, dovute a un circolo vizioso di prestiti per aprire il fondo, di affitti da pagare al padrone, a cui peraltro andava già metà del raccolto. Questo spesso obbligava le famiglie contadine a rinunciare sia al frumento che al vino, riducendo la propria alimentazione al solo granoturco, e questo causava la diffusione della pellagra[9]. Per ovviare a questa situazione di sottosviluppo economico furono avviate due iniziative che si ponevano come scopo il governo e la modernizzazione della produzione e dell’economia bassanese: il succitato Comizio agrario, e la Società di Mutuo Soccorso fra gli Artigiani. Il primo fu un istituto che, in particolare sotto la guida dell’agronomo e geologo Andrea Secco, promosse molteplici attività finalizzate ad un miglioramento del lavoro agricolo: ad esempio una scuola di agricoltura, rivolta ai maestri di campagna[10]. Il Comizio, nato per una iniziale spinta di alcuni ricchi proprietari, si mantenne nel tempo grazie ai finanziamenti in larga parte provenienti dai coltivatori di tabacco della Valbrenta. La Società di Mutuo Soccorso, invece, nata nel 1861 sotto la protezione di San Giuseppe e con l’avallo del mondo cattolico, con l’Unità andò attenuando fortemente il carattere confessionale, lasciando spazio ad una concezione della fratellanza «cristianamente civile» e non solo «cristiana»[11](fig.2).

2StatutomutuoSoccorso

 2. Statuto della Società di mutuo Soccorso degli artigiani bassanesi sotto l’invocazione di S. Giuseppe, Bassano, Roberti, 1862. Frontespizio.La società nata nel 1861, con l’avallo del mondo cattolico, con l’Unità attenuò il carattere confessionale, lasciando spazio ad una concezione della fratellanza «cristianamente civile».

La società riassumeva dentro di sé tutte le eterogenee spinte paternalistiche che caratterizzavano la classe dirigente bassanese, convogliando in un istituto caritatevole gli interessi di preti, insegnanti, liberi professionisti, imprenditori, dunque un mondo molto diversificato al suo interno. La componente borghese e imprenditoriale ebbe tuttavia al principio il controllo decisionale, riuscendo ad esprimere come proprio direttore Giovanni Jonoch. In seguito, invece, vi fu una trasformazione nel 1888, quando a successione del primo presidente venne eletto Tiberio Roberti e successivamente Ildebrando Chiminelli, ovvero candidati che sempre meno potevano rappresentare gli interessi della borghesia produttiva[12]. Scopo della Società era il sostegno degli iscritti nei casi di malattia o di impotenza al lavoro. Non ne potevano far parte né persone condannate per azioni infamanti, né persone notoriamente irreligiose, né alcolizzati o gente che notoriamente conduceva una vita immorale. Dalle relazioni della Società si può ricavare un quadro assai istruttivo circa l’andamento economico cittadino. Se volessimo rappresentare graficamente lo sviluppo economico, si può notare da una parte una curva in ascesa nella seconda metà dell’Ottocento, che poi frena abbastanza drasticamente con il passaggio al nuovo secolo; dall’altra parte si deve registrare la lenta trasformazione di una economia che si basava sull’artigianato ad una a traino industriale. Con lo sviluppo economico, comincia a rendersi necessario, tra gli anni 79 e 90 del secolo XIX, lo stabilimento delle prime banche. Dapprima Bassano fu dotata, nel 1869, di una succursale della Banca del Popolo di Firenze, che riuscì a raccogliere la maggior parte dei risparmi dei bassanesi; poi vi fu un tentativo, fallimentare, di aprire una banca bassanese[13]. Nel ’74 la succursale della banca fiorentina cessò la sua attività, e questo rese necessaria una rapida risposta: fu così che l’ingegnere Luigi Girardello, insieme ad alcuni possidenti (Paolo Agostinelli, Bortolo Zanchetta, Giambattista Vanzo Mercante) istituirono la Girardello e C.. Oltre a questa, nel 1881 verrà aperta una filiale della Banca Popolare di Vicenza[14]. Il panorama del credito bassanese, che comprendeva pure l’antico Monte di Pietà, e un piccolo banco di valute e credito presso il tipografo Sante Pozzato, riusciva a presentarsi, alla fine dell’Ottocento come soddisfacente per le esigenze economiche cittadine. Lo sviluppo economico di fine secolo ci è testimoniato anche da alcuni progressi strutturali: primo, dalla tempestività con cui Bassano ebbe accesso all’energia elettrica, introdotta nel 1889[15], laddove, per esempio a Vicenza, arrivò solo nel 1906, e peraltro grazie ad una ditta bassanese; secondo, dalla realizzazione, nel 1897, dell’acquedotto pubblico, un progetto di cui si era parlato fin dal 1844 e che aveva visto susseguirsi una lunga serie di progetti e tappe che si risolsero alla fine nell’avallo, a data 5 maggio 1894, del disegno dell’ingegnere Paolo Milani di Verona[16](fig.3).

3BassanesiinMilano

3. Emanuele Mozzi, I Bassanesi in Milano dimoranti/ A Antonio Giaconi Bonaguro…, 1898. Bassano del Grappa, collezione privata. La pergamena ricorda la realizzazione della fontana di piazza Garibaldi, eretta nel 1898 a seguito del approvigionamento dell’acqua da parte del Sindaco Giaconi Bonaguro dai Fontanazzi di Cismon al centro di Bassano.

Non si tratta di due innovazioni, quella della corrente elettrica e quella dell’acquedotto (a cui si aggiungerà il gasometro alla vigilia della Prima Guerra Mondiale), di matrice sociale, ma frutto di esigenze di un mondo mercantile e capitalistico: tali servizi erano rivolti in prima istanza a chi poteva permetterseli[17]. Un terzo elemento di sviluppo strutturale fu certamente quello relativo alle vie di comunicazione. Il secondo Ottocento visse un profondo incremento della reticolarità del sistema viario, stradale e ferroviario. Nel 1877 viene inaugurata la linea ferroviaria Padova-Bassano, che via Cittadella, consentiva collegamenti con Vicenza e Treviso. Le località minori venivano raggiunte con l’omnibus, mentre il collegamento con l’altopiano di Asiago, a lungo inseguito per la difficile realizzazione, venne risolto da Vicenza con una ferrovia a cremagliera che partiva dalla città berica per raggiungere Asiago via Rocchette. Detto questo, la Bassano degli ultimi decenni del XIX secolo restava una cittadina sostanzialmente povera, con un mercato del lavoro che offriva salari medi di una/due lire al giorno - si tenga conto che con una lira si comprava meno di un chilo di carne o poco più di due chili di pane. Questa proporzione serve a capire come, nell’incrocio fra crescita demografica e lento sviluppo economico, la manodopera eccedente che non trovava spazio nel mercato del lavoro prendesse la drammatica via dell’emigrazione. Il tributo che Bassano diede al doloroso fenomeno della migrazione, lungo l’ultimo quarto di secolo, fu elevato: 5791 emigrati, circa un decimo della popolazione complessiva di Bassano e del circondario[18].    

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