Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La caduta del fascismo aveva portato un vento leggero e instabile di libertà. La guerra che proseguiva non permetteva comunque uno spiegamento completo delle libertà democratiche, per oltre vent’anni brutalmente conculcate. Le prime riunioni degli esponenti antifascisti erano state fatte senza particolari clamori, si avviavano a ricostruzione le forze politiche che negli anni precedenti il fascismo avevano avuto qualche rilievo in città, soprattutto i popolari e i socialisti. Le famiglie degli operai socialisti avevano costituito anche durante il ventennio un punto di riferimento per quanti non volevano piegarsi al regime: tra queste famiglie, vanno ricordate quelle di Alfeo Geremia, di Sebastiano e Angelo Tonon, di Iseo, Orfeo e Francesco Busellato, di Riccardo Milani, di Rodolfo Bernardi, di Antonio e Antonietta Salvalaggio; e quelle degli operai delle “Smalterie Venete”, la più importante delle fabbriche cittadine, Giovanni Agostini, Giovanni Bettiati, Giuseppe Caberlotto, Cirillo Casale, Antonio Cecchetti, Bruno Etro, Domenico Lando, Giovanni Marini, Giovanni Todesco, che si erano costituiti in Comitato fin da settembre e poco prima del Natale del 1943 riuscirono a indire perfino un breve sciopero (vietatissimo in tempo di guerra, e perciò particolarmente pericoloso per loro), sciopero che il direttore delle “Smalterie” riuscì a far passare come “economico”, salvandoli così dall’internamento in Germania[12]. Un altro punto di riferimento erano stati alcuni sacerdoti di paesi dei dintorni, don Anselmo Riello a San Pietro di Rosà, don Luigi Panarotto a Nove - sempre critici, a volte anche apertamente, nei confronti del regime -, sulla scia del vescovo Ferdinando Rodolfi, che aveva guidato con fermezza e sapienza la diocesi vicentina fino agli inizi del 1943. Rodolfi non aveva mancato di far sentire la sua voce critica verso il fascismo, aveva sempre difeso i suoi preti quando si erano opposti a piegare i riti della religione cattolica all’uso strumentale che il regime pretendeva: a Bassano, sembra che quasi solo il parroco di Santa Maria in Colle, monsignor Ferdinando Dal Maso, si attenesse a questo atteggiamento di dignitosa fierezza e di cristiana carità[13]. Alle famiglie operaie di tradizione socialista si devono aggiungere i molti insegnanti e studenti che parteciparono o collaborarono alla Resistenza. L’Università di Padova, dove il Comitato regionale di liberazione nazionale era stato fondato dal rettore Concetto Marchesi, comunista, col suo prorettore Egidio Meneghetti, azionista, e con Silvio Trentin, appena ritornato dal lungo esilio, pure azionista e fondatore del movimento di Giustizia e Libertà in Francia, era la guida intellettuale di molti giovani: chi aveva assistito alle lezioni di Marchesi e di molti altri docenti aveva potuto, seppure precariamente, respirare la libertà che il regime impediva. Ora insegnanti e studenti delle scuole superiori potevano cominciare a dare una mano per la ricostruzione del Paese, a partire dalla cacciata dei nazifascisti, portando ognuno la sua idea e la sua posizione politica: gli insegnanti di ispirazione popolare Quirino Borin, Achille Marzarotto e Federico Viscidi, oltre alla giovane Barbara Zanchetta, potevano dare un esempio di impegno agli studenti Franco Bonato, Nino Torcellan, Lucio Ies, Claudio Fincati, Orfeo Vangelista (futuro comandante della formazione “Garemi” attiva sulle montagne tra Vicentino e Veronese) e alle studentesse Franca Rigoni, Zaira Meneghin Maira, per non dire che di alcuni[14]. Tra i primi combattenti, pare doveroso ricordare Walter Cundari, originario dell’Udinese, allievo alla Scuola di allievi ufficiali alpini di Bassano, che dopo aver abbandonato la caserma e aver costituito con Ludovico Todesco una prima formazione sul Grappa, si spostò nel Cuneese, dove divenne il ‘comandante Wolf’, stretto collaboratore di Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco e poi di Nuto Revelli[15]; il bassanese Alfeo Guadagnin, autista di piazza, socialista, fondatore con Livio Morello della brigata ‘Matteotti’, spostatosi per ragioni di sicurezza nella zona di Valdagno e lì fucilato nel luglio del 1944[16](fig.3);

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3. Alfeo Guadagnin, autista di piazza, socialista, fu fondatore della Brigata Matteotti. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Spostatosi per ragioni di sicurezza nella zona di Valdagno, fu fucilato lì nel luglio del 1944.

il giovane studente di medicina Ludovico Todesco, nativo di Solagna, in contatto a Padova con Meneghetti e tirocinante all’ospedale di Crespano, dove collaborava al movimento resistenziale guidato dal primario chirurgo Mario Mantovani Orsetti: arrestato a Padova col cugino Mario (ucciso in quella città in giugno) una volta liberato si trasferì sul Grappa, dove entrò dapprima nella brigata “Italia libera”, uscendone poi, per disaccordi sulla strategia da seguire col comandante, e fondando la nuova brigata “Italia libera di Campo Croce”. Ludovico Todesco morì durante il rastrellamento del Grappa, la madre e la sorella scomparvero dopo un improvviso arresto, forse durante il trasferimento in campo di concentramento[17]. Si trattava, evidentemente, di poche persone: come dovunque in Italia, la scelta consapevole e totale di campo per la resistenza antifascista era di una minoranza a volte sparuta, ma combattiva, che seppe superare la paura, il desiderio di lasciar fare ad altri, di aspettare con tremore che il futuro si rivelasse migliore. Il disimpegno dei più era una realtà soprattutto nelle città o nei centri di medie dimensioni, dove tutti si conoscono e il controllo sociale è a volte più forte della solidarietà. A Bassano, come quasi ovunque, non ci furono vendette dopo il 25 luglio 1943, i fascisti più in vista sparirono per un po’ dalla circolazione ma ritornarono dopo l’8 settembre, durante questo periodo gli antifascisti mantennero comunque un profilo basso e prudente. Per molti mesi in città non vi furono azioni di guerriglia – era ben sorvegliata e controllata dalle forze tedesche e fasciste – e l’attività di resistenza si organizzò soprattutto nei paesi vicini, da Cartigliano (con Ferruccio Caldana e Antonio Canton, nucleo della futura compagnia ‘Cesare Battisti’) a Crespano (con il gruppo di Mantovani Orsetti e Ludovico Todesco), da Rossano Veneto a Schiavon, da San Pietro di Rosà (il “gruppo autonomo Garibaldi” con G.B. Comacchio, Luigi Lorenzato e don Riello, e poi con Aldo Franciosi e Giustiniano De Rossi) a Cassola (con Ermenegildo Moro e Andrea Cocco, Gildo Spessato, Giovanni Marin, Angelo e Sandro Dalla Palma), da Rubbio (con Nino Torcellan e Luigi Moretto) a Cismon del Grappa (con Abramo Maschio e Tommaso Pontarollo)[18]. Nascevano, a partire dal tardo autunno del ’43, le prime bande composte da ufficiali e soldati italiani che erano riusciti a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, a loro si unirono altri giovani, via via chiamati alle armi per la creazione dell’esercito della Repubblica sociale; i bandi di chiamata, sempre più minacciosi, spingevano i giovani alla macchia, e molti all’adesione alle formazioni partigiane. Le prime azioni nei dintorni della città sono della primavera del 1944: attacchi alle caserme, ai presidi, a trasporti tedeschi e fascisti per rifornirsi di armi, alle polveriere e alle miniere per l’esplosivo; sabotaggi alle linee telegrafiche e telefoniche, ma soprattutto a quelle elettriche che portavano l’energia alle industrie della pianura fino alla zona di Marghera (e l’interruzione alle produzioni industriali che ne derivava preoccupava i tedeschi quasi più che singoli episodi di sabotaggio[19]), a ponti e strade; requisizioni di generi alimentari di prima necessità presso gli ammassi; incendi degli uffici anagrafici locali, soprattutto per l’eliminazione delle liste di leva; attacchi e uccisioni mirate di fascisti di spicco, come il ten. col. Antonio Faggion, ispettore per la protezione degli impianti industriali alle dipendenze dei tedeschi, ucciso il 26 dicembre del 1943 a Valstagna (da Faggion prese il nome la Brigata nera che si distinse nel rastrellamento), spie e tedeschi isolati. Molti paesi intorno a Bassano vennero coinvolti, da Crespano a Onè di Fonte a Mussolente, dove venne ucciso il segretario del fascio locale. Il forte Tombion, sulla Valsugana, era stato preso d’assalto e contemporaneamente era stato fatto saltare un pezzo della linea ferroviaria e danneggiata la sede stradale: segno che la presenza delle bande poteva bloccare anche a lungo i trasporti[20]

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