Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’allevamento del baco da seta era svolto dalle famiglie contadine che possedevano gelsi o li prendevano in affitto dai proprietari dei fondi che coltivavano. Se ne occupavano soprattutto le donne, con un occasionale aiuto degli uomini di casa nel periodo successivo all’ultima muta dei bachi, quando questi diventavano particolarmente voraci e si preparavano alla “salita al bosco”, cioè della formazione del bozzolo. Per il Bassanese mancano informazioni dettagliate sulla diffusione del gelso, che al principio dell’età moderna doveva essere confinato negli spazi più prossimi alle case coloniche, nei giardini delle ville padronali o lungo le siepi che dividevano i poderi. Dai bozzoli si estraeva il filo di seta attraverso la trattura, un’attività largamente diffusa in ambito sia urbano che rurale. Gli strumenti necessari erano piuttosto semplici, il “fornello” era costituito da una bacinella in rame che poggiava su un supporto di pietra o mattoni all’interno del quale veniva acceso un fuocherello. Nella bacinella la trattrice, spesso chiamata semplicemente maestra, faceva scaldare dell’acqua in cui poi immergeva una manciata di bozzoli. La sostanza gommosa che teneva unito il bozzolo si scioglieva al calore e quindi la trattrice poteva svolgere un numero di bave variabile a seconda dello spessore del filato che voleva ottenere. Le bave venivano unite tra loro a formare un capo, due o quattro dei quali, lievemente ritorti tra loro, formavano il filo, che andava ad avvolgersi su un naspo, retto da una struttura a cavalletto ed azionato da una seconda lavoratrice, la menaressa, in genere una ragazza. L’abilità della trattrice consisteva nella capacità di ottenere un filo allo stesso tempo sottile ed omogeneo, aggiungendo nuove bave per sostituire quelle che erano giunte al termine ed evitando che esso si potesse sporcare raccogliendo i residui e le impurità che gradualmente si accumulavano nella bacinella. Le variazioni di spessore indebolivano la capacità del filo di resistere alla trazione, aumentando il rischio di rottura durante la torcitura e la tessitura, mentre la presenza di impurità e residui si traduceva in una maggior quantità di scarti di lavorazione. Una trattura troppo affrettata, condotta con l’intento di ottenere la maggior quantità di seta possibile in poco tempo, e magari eseguita mescolando ai bozzoli normali anche quelli difettosi, i doppi o doppioni che si formavano per l’unione di due bozzoli intessuti uno vicino all’altro, dava come risultato un prodotto grossolano, esposto a frequenti rotture e che avrebbe dato un’alta percentuale di scarti, adatto più ad essere impiegato per lavori di ricamo che all’utilizzo come ordito o trama in un tessuto. Sin dal tardo medioevo la torcitura, operazione necessaria per ottenere un filo al tempo stesso sottile e robusto, veniva effettuata con macchine molto complesse per gli standard dell’epoca[73]. Elemento comune ai torcitoi operanti nel bassanese era una una struttura cilindrica formata da due gruppi di montanti in legno contenuti uno all’interno dell’altro. La parte interna rotante poteva essere azionata dalla forza di un uomo, il menadore, o da una ruota ad acqua, che trasferiva attraverso delle ruote dentate il movimento ai rocchetti e agli aspi carichi di seta greggia posti sulla parte interna, fissa, del torcitoio. Passando dall’aspo, che ruotava su un asse orizzontale, ai rocchetti, disposti verticalmente, il filato subiva una torcitura la cui intensità poteva essere regolata sostituendo le ruote dentate con altre di passo diverso. Mentre la seta destinata ad essere usata come trama o come filo da ricamo passava una sola volta per il torcitoio, quella impiegata per l’ordito dei tessuti, detta orsoglio, ed in seguito organzino, veniva resa ancor più resistente alla tensione unendo due fili già torti e sottoponendoli ad una seconda torcitura impartita in senso contrario alla prima. Un filo d’ordito sottile e resistente consentiva di fabbricare drappi operati, con disegni o broccati, mantenendo il tessuto leggero. Bisogna poi tenere conto che la seta greggia e torta si vendeva a peso e quindi un filato sottile compensava il costo più elevato con una maggior lunghezza rispetto ad un prodotto di maggior spessore e più pesante. A Bassano l’introduzione del primo torcitoio di seta si fa risalire alla supplica che Martino d’Alessio presentò al consiglio cittadino nel 1543. In quegli stessi anni si ha notizia della presenza a Schio di un torcitoio da seta, segno che l’attività, praticata da almeno un secolo a Venezia, Padova, Verona e Vicenza, stava diffondendosi anche nei centri minori del pedemonte. Un primo e notevole slancio alla crescita della torcitura, e dell’intero setificio bassanese, dovette venire nel corso degli anni sessanta e settanta del Cinquecento dall’aumento della domanda francese e soprattutto tedesca di tessuti e dalla concessione del diritto di tessere drappi serici accordata in quegli stessi anni da Venezia ad alcune città di Terraferma. Risale a questo periodo la costruzione di due torcitoi idraulici sulla riva sinistra del Brenta; il primo ad opera del veneziano Antonio da Ca’ Tagliapietra, detto “Antonio filatorio”, si trovava poco a valle del Ponte Vecchio, in prossimità della zona dove sarebbe più tardi sorto palazzo Sturm; il secondo, a monte del ponte, era ospitato all’interno del complesso dei mulini Priuli sotto il Castello. In entrambi i casi l’iniziativa di introdurre la torcitura idraulica venne da veneziani, chiara testimonianza dell’attrattiva esercitata da Bassano sugli imprenditori della capitale, ma pure di un certo ritardo dei locali rispetto alle più avanzate esperienze vicentine, veronesi e padovane. Posta ai confini tra la fascia pedemontana del vicentino e del trevigiano, due delle più importanti aree produttrici di seta nella Terraferma veneta, Bassano godeva del vantaggio di facili comunicazioni con Venezia e di un accesso diretto, attraverso la via della Valsugana, al Trentino e ai mercati di lingua tedesca. Dal centro urbano le balle di seta grezza e ritorta potevano risalire la valle del Brenta sui carri diretti ad Ulma, Augusta e Norimberga, insieme a merci più voluminose e di minor valore, raggiungendo le piazze commerciali dell’Europa settentrionale senza ulteriori deviazioni e senza essere sottoposti a controlli particolarmente rigorosi.

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