Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Già dagli anni ’60 ha inizio la lunga crisi della Smv, ma dalla sua nascita ad allora la fabbrica ha tracciato, con l’appoggio di una classe politica accorta e ben radicata sul territorio, una propria linea di sviluppo di cui ha fornito le condizioni specifiche[15]. Tali condizioni vengono generalmente individuate da un lato nell’acquisizione di un know how all’interno della Smv tale da permetterne l’utilizzo in nuove imprese di piccole o medie dimensioni, a basso capitale iniziale e spesso sorrette da lavoro nero femminile e familiare[16], e dall’altro nella capacità politica del ceto dirigente democristiano. Appare maggiormente convincente, però, l’analisi di Favero secondo cui gli interventi del Comune in campo industriale ebbero negli anni Cinquanta una funzione di semplice accompagnamento di quello che appare uno sviluppo spontaneo: si garantirono, certo, le opere di urbanizzazione necessarie all’insediamento di nuove industrie, attirate dalla presenza in città di infrastrutture e di manodopera specializzata, ma si trattò quasi sempre di scelte operate in risposta alle sollecitazioni provenienti dal mondo produttivo più che di provvedimenti consapevolmente programmati[17]. La presenza della Smv diede certamente il via alla trasformazione in senso industriale delle attività artigianali e commerciali di tipo tradizionale presenti sul territorio, e la forte immigrazione di manodopera diede impulso ad un intenso sviluppo urbano, costringendo così gli amministratori ad affrontare il problema delle strutture abitative e dei servizi, ma fu proprio tale metamorfosi a guidare in qualche modo le scelte politiche.[18] La disoccupazione e la congiuntura economica costrinsero gli amministratori all’azione politica, tanto nel primo dopoguerra che negli anni del fascismo, almeno quanto nel secondo dopoguerra e durante il boom economico o la crisi degli anni ‘70. Già negli anni ’50 si era posto il problema del piano regolatore generale non adottato nel 1959, approvato solo nel 1969 in ottemperanza alla legge 765/1965 e definitivamente applicato solo nel 1972[19], quando una gestione mirata del suolo divenne indispensabile con la costruzione della circonvallazione bassanese della superstrada e le sue vie di collegamento. La politica di programmazione era stata rinviata almeno di un decennio, ma tempestivamente attuata nel momento di maggiore utilità. Nell’immediato dopoguerra, infatti, la lenta crescita economica imponeva un miglioramento ed un’estensione dei servizi (dalla rete viaria, all’acqua, alle scuole) di cui usufruivano anche i comuni limitrofi. Negli anni del boom il Bassanese era ormai un territorio continuativamente abitato, nel quale la piccola industria che cresceva aveva necessità di aree disponibili e una regolazione rigida dell’edificabilità dei terreni avrebbe invece bloccato la crescita. Gli amministratori preferirono assecondare lo sviluppo economico rendendo edificabili aree non troppo estese di modo da fornire garanzia di credito ai nuovi imprenditori, laddove un piano regolatore avrebbe invece bloccato il movimento economico; in tal modo inoltre, veniva scongiurato lo spopolamento cittadino verso la periferia e i comuni contigui favorendo la costruzione anche di nuove unità abitative rispondenti alla richiesta di case di proprietà in cui vivere[20]. Sostiene Berti che solo dopo la Liberazione (con le consultazioni del ’46) la città fu in grado di selezionare una propria classe dirigente che vide la Democrazia Cristiana amministrare la città ininterrottamente fino agli anni ‘90[21]. È anche vero comunque che si trattò di una classe politica davvero capace per un verso - come si è detto - di accompagnare la crescita cittadina e, per altro verso, di mantenere un buon equilibrio all’interno della stessa maggioranza, coniugando le proprie due anime (la “dorotea” sempre dominante e la sinistra DC) nonostante i contrasti ed anche secondo le direttive di partito. Ma il successo forse maggiore ottenuto da tali giunte monocolore - in realtà coalizioni fra correnti capaci di una strategia unitaria - fu la capacità di ricoprire un ruolo di “mediatore” fra la politica locale e quella nazionale e - dagli anni ’70 - regionale. Fino dalle prime elezioni “libere” la forza politica dominante a Bassano risulta essere la Democrazia Cristiana, che nelle consultazioni amministrative non scenderà mai - fino alla fine della “prima Repubblica” - a percentuali inferiori al 50% dei voti ed esprimendo un gran numero di preferenze. Nel valutare l’andamento elettorale nel trentennio considerato si ha l’impressione di un legame molto stretto tra partito cattolico e città, ed è possibile presumere che tale radicamento sia dato non tanto - o non solo - dall’ideologia, bensì da una risposta politica diretta alle richieste più forti se non ai bisogni espressi dagli abitanti il territorio[22]. La soluzione positiva delle fasi di crisi (ad esempio la lunga vertenza che portò alla chiusura della Smv), il sostegno fornito allo sviluppo urbano, la capacità di garantire il finanziamento e l’appoggio, da parte del governo centrale, alle iniziative dell’Amministrazione (fig.2),

2LorenzoNataliQuartiereXXV

2. Visita a Bassano del Grappa del Ministro dei Lavori Pubblici, Lorenzo Natali al Quartiere XXV Aprile, per decidere alcuni interventi, fra cui la costruzione di viale Palladio. Vi si riconoscono il ministro, secondo da destra, accompagnato dal Prefetto di Vicenza e dai responsabili dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Vicenza, avv. Garzia e dott. Giuriolo.

poterono garantire un nutrito serbatoio di voti alla Democrazia Cristiana locale, certamente sostenuta, almeno nei primi anni, dalle parrocchie e da una capillare organizzazione di associazioni cattoliche e no, che rese il territorio capace di assorbire i forti conflitti degli anni ‘70. Tale situazione durò almeno fino agli anni ’80-90, quando si affacciarono anche all’orizzonte politico locale nuove richieste e nuove istanze politiche. La nascita della Liga Veneta pose l’accento sulla richiesta di affermare una presunta identità “regionale” di appartenenza, mentre una nascente vocazione ambientalista delle nuove generazioni portò all’esplosione di preferenze per il partito dei Verdi - comparsi nell’ '85 - alle amministrative del 1990[23]. Tra il 1970 ed 1999 si tennero sette consultazioni amministrative e, fino al 1990, l’andamento fu stabile e vide un notevole distacco tra Democrazia Cristiana ed altre forze politiche. Le elezioni del ’70 furono molto sentite - forse anche per il nuovo obiettivo delle regionali - e videro la DC al 63%, seguita da PSDI all’8,76% e PCI e PSI attorno al 7%. Ciò portò in consiglio Comunale 29 consiglieri DC, 3 PSDI, 5 PCI, 2 PSI, 2 PLI e 2 MSI, quasi tutti espressione del ceto medio; alle Comunali successive le percentuali variano di pochi punti esprimendo Consigli Comunali assai simili. Il 1990 segna uno spartiacque (in linea con la tendenza nazionale) che vede per la prima volta la DC scendere sotto il 50% dei voti, i Verdi all’8, 65%, e comparire la lista “Veneto, leone con la spada” che ottiene un buon 5,46%, nonché le prime “liste civiche” che assommano poco più del 9%. È il segnale di un radicale cambiamento avvenuto anche a livello nazionale, in cui i voti della DC passano a Forza Italia e Lega, ed anche di un distacco della città da una classe dirigente sempre più avulsa dal territorio e dalle sue esigenze, incapace ormai di “amministrare lo sviluppo”. La consultazione del 1995 (la prima dopo lo scioglimento del ’93 della Democrazia Cristiana) è caratterizzata dalla comparsa di Forza Italia al 17% circa e di Alleanza Nazionale al 9,43%, mentre oltre il 20% dei voti vanno alla lista Bassano Popolare, il 17, 70% ai Progressisti, ed il resto distribuito fra diverse liste civiche. È la fine del vecchio sistema partitico che si riflette anche a livello locale, scompaginando l’egemonia in atto dal dopoguerra alla ricerca di nuove identità e nuove corrispondenze tra politica, amministrazione e cittadinanza. Lo spoglio dei giornali si rivela di grande utilità sia per capire questo progressivo allontanamento e declino di una forza politica radicata fin dal ’45, che per indagare sul carattere ed il senso dei problemi discussi in ambito amministrativo e politico[24]. Negli anni ’70, segnati dalla crisi economica e dalla vertenza Smv, dominano la cronaca la riqualificazione delle aree urbane attraverso la pedonalizzazione del centro storico e la costruzione dei parcheggi[25] e le molte discussioni sul tema che avvengono durante i consigli comunali. Il tema della costruzione di infrastrutture appassiona la città e coinvolge in prima persona due sindaci storici, l’ex Giovanni Bottecchia[26] e il presente Pietro Fabris. Non è un caso che nel ’70 proprio Bottecchia sia assessore provinciale uscente alla viabilità e che proprio gli anni ’70 siano caratterizzati dalla discussione sul piano regolatore, né che proprio in questi anni si inizi la costruzione del terzo ponte sul Brenta e la variante di congiunzione fra le statali n. 248 e n. 47, opere che collegavano la città a Trento e che avrebbero poi proseguito fino a Venezia nell’opposta direttrice[27]. I temi della viabilità, dell’illuminazione stradale, degli stanziamenti per il Consorzio di bonifica del Grappa e del Cimone sono fra i più dibattuti ed appassionano i lettori dei quotidiani[28], almeno per il tempo pre-elettorale. Nel decennio l’amministrazione del sindaco Fabris adotta sistematicamente il bilancio di previsione quale strumento operativo, mettendo a budget gli ampliamenti degli edifici scolastici, il miglioramento della viabilità, l’acquisto di terreni per l’edilizia popolare, l’estensione della fornitura di metano, la raccolta dell’immondizia nelle frazioni, la costruzione del nuovo campo sportivo, il miglioramento della rete stradale nelle zone montane al fine di evitarne lo spopolamento, e anche una consistente cifra a sostegno delle associazioni[29](fig.3).

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3. L’attenzione alla cultura è sempre rimasta presente nei piani delle amministrazioni comunali.  In visita al Museo Civico nel 1975, il Ministro Mariano Rumor ed accanto a lui il prof. Virgilio Chini, grande mecenate della città, cui ha destinato la sua collezione di vasi greci ed apuli.

Negli anni della crisi l’amministrazione guida e sostiene in tal modo il cambiamento strutturale ed economico della città, pur soffrendo per i profondi conflitti che segnano tanto la società nazionale quanto quella locale esemplificate dalle nuove grandi manifestazioni di piazza degli anni ’70. Il decennio degli ’80 assiste al varo del Regolamento edilizio e definisce norme di nomina e poteri dei membri della commissione edilizia, atto politico di notevole importanza che segna però la genesi del distacco dell’amministrazione dalla realtà quotidiana dell’elettore. Se negli anni della ricostruzione e della modernizzazione l’azione politica nasceva da esplicite richieste espresse dai bassanesi, ora i risultati delle istanze non sono più immediatamente visibili ma vengono mediati dall’istituzione di regolamenti tecnico-amministrativi, percepiti dai cittadini come mera burocrazia. Compaiono infatti in campo elettorale i voti nulli e le schede bianche, calano i voti di preferenza, chiaro segnale non solo di un allontanamento dalle istituzioni ma soprattutto di un forte calo della fiducia negli uomini che alle istituzioni appartengono. Di contro, hanno inizio le raccolte di firme e petizioni con le quali i cittadini fanno sentire il loro dissenso alle decisioni dell’Amministrazione[30]. Nel periodo in questione fanno la loro comparsa manifestazioni e incontri volti alla tutela dell’ambiente (si è visto come i Verdi si affermeranno alle consultazioni del ’90 con un buon 8,65%) contro l’inquinamento piuttosto che l’abbandono delle zone montane, per la riqualifica del fiume o il risanamento della discarica abusiva di via Campesano[31]. L’associazionismo, così a lungo stabile sostegno della classe politica democristiana, si sposta ora su temi strettamente legati al benessere del cittadino e dell’ambiente, segno ulteriore di un allontanamento dalla politica istituzionale a favore di un diretto contatto col territorio, senza alcuna mediazione. In questo nuovo clima avanzano le nuove sollecitazioni localistiche e autonomistiche. Ha inizio il movimento che porterà alla fine della “prima Repubblica”. Alla fine di marzo il sindaco Antonio Basso viene denunciato per omissione di atti d’ufficio a causa della mancata denuncia di una violazione edilizia a piazzale Firenze[32], appropriatamente a poca distanza dalle nuove elezioni amministrative. Il Consiglio Comunale continua la corsa all’approvazione di progetti di ampio respiro e notevole impegno economico: la sola ristrutturazione di Palazzo Sturm vede stanziato più di un miliardo di lire (fig.4),

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4. Alla metà degli anni ’80 il Consiglio Comunale continua la corsa all’approvazione di progetti di ampio respiro e notevole impegno economico. Il solo restauro ed adeguamento funzionale a museo di palazzo Sturm vede stanziato più di un miliardo di lire.

mentre la previsione di spesa per l’ingabbiamento delle pareti franose in Valsugana è di cento milioni di lire finanziate dalla Regione, ed i lavori di costruzione dell’Acquedotto di San Pietro (iniziati nel 1982) vengono a costare cinquecento milioni di lire, per non parlare dell’impegno di ben due miliardi per il grande impianto di depurazione finanziato dalla Regione Veneto a San Lazzaro nel quadro di una serie di impianti costruiti nelle zone pedemontane per bloccare l’inquinamento da nord[33]. Al di là della fine della prima Repubblica, a Bassano gli anni ’90 mettono un punto in qualche modo definitivo al legame amministrazione-cittadinanza, in particolare laddove l’attenzione al dissesto ambientale si fa più pressante. I giornali non supportano più con forza l’azione degli amministratori, ma sempre con maggior frequenza pubblicano articoli di denuncia su abusi e manipolazioni dell’ambiente[34]. L’Amministrazione cessa di essere centro direzionale e fornitore di servizi al punto che gli abitanti di Campese, a causa dell’interruzione della strada provinciale in atto da ben otto anni, minacciano la restituzione delle tessere elettorali[35] dichiarando di non volere premiare ancora chi chiede il voto per poi eclissarsi. Ad onor del vero, l’opera di costruzione della galleria era di competenza dell’Amministrazione provinciale. Il costo era notevole (quasi due miliardi di lire) ed il movimento franoso ha richiesto un notevole lasso di tempo per assestarsi. Il modello nel modello, l’eccezione nell’eccezione sono finiti e - almeno allo stato delle cose - non sono più individuabili quegli elementi che rendono quello di Bassano un “caso” storiografico per gli studiosi che se ne sono occupati. La ricerca sul periodo che copre gli anni in oggetto è ancora in fieri - e ben ne rende conto il lavoro di Giovanni Favero e quanto scrive sul sito dell’ISTREVI - e che muove dal lavoro (in qualche modo “preliminare” per gli storici) compiuto dalla ricerca socio-politica, statistica ed economica, a dimostrare quanto l’interdisciplinarità e la trasversalità della ricerca sia oramai un dato acquisito. Anche per tale ragione queste brevi linee di ricerca si arrestano proprio alla caduta del sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica. Risulta infatti difficile progettare uno studio sul modello Bassano relativo agli ultimi vent’anni, poiché viene a mancare quella “giusta distanza” che permetterebbe la costruzione di una prospettiva che fosse realmente storica e non prettamente sociologica, economica e politologica. 

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