In corrispondenza della ripresa economica dopo la guerra di Cambrai, una forte spinta costruttiva venne dagli imprenditori, tra i quali emergono i mercanti venuti da fuori che in città avevano fatto fortuna come i Papa di origine bergamasca, trapiantatisi a Venezia. A loro si devono gli impianti, nella prima metà del Cinquecento, di due palazzi in Campo Fior (l’attuale via Verci): quello noto come casa Bellavitis (proprietari dal 1578), completato fino alla forma attuale dai Guadagnini, ricchi mercanti di panni, oriundi di Crespano, che nel 1540 lo acquistarono con l’altro, ubicato poco più a sud, il quale tradizionalmente porta il loro nome. Non sono opere d’autore, ma si qualificano per l’armoniosa architettura aderente allo spirito della Rinascenza quale poteva essere interpretata nella provincia veneta. Il primo palazzo, all’interno, fu ornato, nel corso della sua vicenda costruttiva, di epigrafi intagliate sugli architravi delle porte e di un camino[26]. Il secondo spicca nella veduta dalpontiana con la sua facciata mossa dall’elegante pentafora, a guisa di loggiato, al piano nobile; testimoniano la maestria dei lapicidi bassanesi gli elementi decorativi giunti fino a noi: dal cornicione del tetto trapuntato da modiglioni lavorati a mo’ di foglie d’alloro, al motivo a rosette della balaustra, ai capitelli ionici delle colonne della balconata, alle losanghe del portone (fig.13)
. La dimora fu portata a compimento, entro il 1540, dai Papa che provvidero anche alla decorazione freschiva delle pareti a finto tendaggio dell’androne al pianterreno, di cui rimangono tracce insieme con una Sacra Conversazione[27]. Tra gli esempi del linguaggio architettonico locale degli ultimi decenni del secolo, sono il palazzo dei Veneziani poi passato ai Brocchi, da cui prese il nome, e quello dei Cortellotti in Borgo Leon (rispettivamente nelle attuali salita Brocchi e via Beata Giovanna, n.65)[28]: ancora una volta l’iniziativa spetta a famiglie di mercanti di ascendenza lombarda. Ben visibili nella veduta dalpontiana, essi mostrano la loro mole con le facciate simmetricamente squadrate, di un classicismo un po’ severo che tende a contenere l’aspetto decorativo, costituito solo dai comignoli a forma di obelisco sui frontoni, dai cornicioni aggettanti dei tetti, dalle cordonature lapidee dei fori e, nel caso di palazzo Brocchi, dalle singolari fasce correnti in pietra rossa a sottolineare le finestre del piano nobile e del mezzanino; semplificato appare anche l’elemento delle balconate con poggiolo al piano nobile (fig.14).
La distribuzione degli ambienti all’interno è quella in uso a Bassano nei palazzi del XVI secolo: i due saloni passanti con interposto mezzanino e stanze ai lati. Anche la classe del patriziato e dell’aristocrazia mercantile veneziana contribuì a dare il volto moderno alla città. Rilevante episodio edilizio è la dimora dei patrizi Donato (ora nota come palazzo Antonibon), innalzata verso la metà del secolo, lungo l’attuale via Marinali. Un po’ arretrata dalla strada da cui la difende un alto muro con portale d’ingresso, si distingue molto bene nella mappa dalpontiana mostrando il prospetto posteriore, immersa nel verde con il tetto a capanna e le finestre centinate (fig.15).
15. Palazzo Donato poi Antonibon. Costruito verso la metà del XVI secolo, era difeso da un alto muro con portale d’accesso. È ora sede del Tribunale in via Marinali. |
Come fanno supporre i lacerti superstiti, una raffinata decorazione a tappezzeria con motivi geometrico-floreali, coeva al palazzo, doveva rivestire le quattro facciate[29](fig.16).
Furono innalzati nel secolo XVI, ex novo o su preesistenze più antiche, alcuni edifici, architettonicamente qualificati, lungo l’attuale via Da Ponte, allora detta Rigorba: il palazzo, d’angolo con l’attuale via Barbieri, tradizionalmente noto con il nome di Negro (in parte modificato da interventi successivi), dall’alto portico con pilastri a bugne piatte davanti al monumentale ingresso; la Casa Lugo Cerati Conte (al n. 28) dal balcone a quattro fori profilati da eleganti cornici lapidee, che si ripete nel prospetto verso il brolo; il palazzo Compostella (al n. 25), databile alla seconda metà del secolo, che mostra la sua facciata geometricamente proporzionata, di una severa eleganza nella regolare disposizione dei motivi archivoltati del portale e delle monofore al piano nobile, ciascuna con il proprio poggiolo lapideo a balaustri (fig.17).
Nelle case cittadine di nuova o più antica edificazione, durante l’età rinascimentale, gli interni venivano spesso decorati: grazie ai restauri recenti, sono riemersi brani significativi che testimoniano la tradizione dell’affresco nata e fiorita a Bassano tra il XV e il XVI secolo. Gli episodi cinquecenteschi ritornati in luce riguardano non solo palazzi della borghesia e della nobiltà veneziana, ma anche l’edilizia minore, priva di monumentalità, e documentano la moda figurativa del momento oltre all’inclinazione del gusto e alle motivazioni che ne hanno originato la commissione. Queste vanno dal desiderio di abbellire un ambiente del vivere quotidiano rivestendolo di colore, all’esigenza di rinnovare la casa per qualche occasione, di rimarcare la conquista di una più prestigiosa condizione sociale - frequente l’inserzione di stemmi nei fregi - o di altro ancora. Un esempio sicuramente inteso a esibire un’affermazione professionale è dato dal paramento freschivo (databile al primo decennio del Cinquecento) nella stanza a pianterreno di casa Montini (via Barbieri n. 36)(fig.18),
dove campeggia in una sopraporta lo stemma recante gli strumenti dell’arte di questa famiglia di architetti e scultori. La maggior parte delle pitture parietali si deve alle maestranze delle botteghe locali, soprattutto di quella dei Nasocchi[30], decoratori dei quali si può individuare il linguaggio figurativo intriso di reminiscenze squarcionesche e belliniane e di stilemi montagneschi: carattere, quest’ultimo, acquisito attraverso le traduzioni grafiche delle opere del maestro vicentino prodotte da Benedetto Montagna e Girolamo Mocetto, le quali - insieme con gli esempi freschivi eseguiti dallo stesso Montagna (1449 ca-1523) e dal suo allievo Giovanni Speranza (documentato dal 1473 al 1528-ante 1532) nella chiesa di Santa Maria delle Grazie in città nell’ultimo decennio del Quattrocento - ebbero un ruolo importante anche nella formazione dello stile di Francesco dal Ponte il Vecchio[31]. Il cospicuo numero dei testi pittorici superstiti appartenenti ai primi decenni del secolo, pur allo stato frammentario, testimonia alcuni impianti decorativi ricorrenti: il fregio al sommo delle pareti; le riquadrature che simulano paramenti marmorei e architettonici; i finti tendaggi e più generalmente la finta tappezzeria, il «fento de pano» com’è definito nel libro dei conti dei Bassano. Un altro elemento caratteristico degli interni bassanesi è costituito dalle raffigurazioni dipinte nelle metope tra gli spazi delle travature: le più singolari sono, nel salone al piano nobile di palazzo Sale, le teste di dame e cavalieri «certamente ritratti della famiglia, tracciati con un segno continuo che fissa la personalità di giovani, di uomini maturi, di fanciulle e di donne, sottolineata dal variare dei copricapi e pettinature, elementi integranti dell’immagine»[32]. Esempi di altre tipologie decorative appartengono alla seconda metà del Cinquecento. In una stanza al piano terra del ricordato palazzo Antonibon (in via Marinali, ora sede del Tribunale) una illusionistica intelaiatura architettonica, arricchita con statue monocrome entro le nicchie, sostiene il fregio a frutti e racemi: essa fu eseguita alla metà del secolo quando la dimora fu costruita dai Donato, che fecero affrescare, come si è visto, anche le facciate esterne (fig.19).
Una finta struttura architettonica, questa volta di gusto veronesiano, scandita da colonne corinzie reggenti una trabeazione, ritorna in una stanza di casa Suntach Zilio Tessarollo (via Bellavitis), dove non c’è più traccia delle raffigurazioni tra le illusionistiche spartiture. Un unicum, come lo definisce la Crosato Larcher, costituiscono le raffinate grottesche in una stanza al piano nobile di Ca’ Priuli (in via Pusterla), ispirate alle creazioni di Giovanni da Udine, diffuse dalla grafica di Marc’Antonio Raimondi, per le quali la studiosa non esclude l’esecuzione da parte di un pittore locale «con limitate conoscenze dei grandi cicli a fresco delle ville palladiane»[33](fig.20).