Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Un confronto tra i dati del censimento del 1971 e del 1981 può consentire di misurare in termini quantitativi la natura strutturale dei mutamenti innescati nella società locale dai tumultuosi avvenimenti degli anni Settanta. La crisi attraversata dalla città nella seconda metà degli anni Settanta trova immediato riscontro a livello demografico: l’incremento della popolazione nel corso del decennio fu decisamente inferiore rispetto a quello previsto nel 1969, in occasione della stesura del Piano Regolatore, e proprio questo periodo segna l’avvio di una stabilizzazione dei livelli di popolamento. La popolazione di Bassano resterà infatti su livelli inferiori ai quarantamila abitanti fino allo scadere del secolo. Un primo fattore che entra in gioco nello spiegare questa evoluzione è l’immigrazione da altri comuni, che in concomitanza con la crisi della Smv si contrasse, per riprendere solo negli anni Ottanta[72]. Ma in questo stesso periodo crollò anche il saldo naturale, per effetto della netta diminuzione della natalità che si riscontra a partire dal 1976. L’insicurezza che si diffuse in seguito alla crisi occupazionale catalizzò l’emergere di comportamenti nuovi, legati all’emancipazione femminile ma anche alle maggiori difficoltà economiche delle famiglie. L’uscita dalla crisi attraverso lo sviluppo della piccola impresa, spesso di dimensione artigianale o famigliare, implicava infatti una maggior partecipazione al lavoro di membri diversi dal capofamiglia, con un conseguente aumento del tasso di attività. Quando non si trattava di attività in proprio, la remunerazione del lavoro femminile e giovanile, spesso irregolare, era decisamente più bassa rispetto al salario di un lavoratore maschio regolare, ma consentiva comunque di integrare il reddito famigliare aumentando il livello dei consumi. Il vistoso calo degli addetti all’industria rilevati nel censimento può essere perciò interpretato in parte come un effetto della diffusione del lavoro in “nero”, ma riflette anche dinamiche reali. L’inversione del rapporto fra il numero di addetti rilevati dal censimento industriale e gli attivi nell’industria secondo il censimento demografico appare ad esempio il sintomo evidente di una netta inversione dei flussi del pendolarismo, che non erano più concentrati su Bassano, ma che spesso si dirigevano dalla città, che aveva accentuato la sua funzione residenziale e di servizio, verso i comuni limitrofi, dove invece le attività produttive continuavano ad espandersi. Alla stagnazione demografica e al ridimensionamento delle attività produttive in città faceva in effetti riscontro una fortissima crescita di quelle stesse attività e soprattutto della popolazione, che risultava quasi raddoppiata, in alcuni dei comuni circostanti[73]. Il calo degli addetti all’industria all’interno dei confini comunali era il risultato di una complessiva ristrutturazione delle funzioni urbane, che si venivano rapidamente orientando in maniera più specifica verso i servizi alle imprese localizzate in un territorio più vasto, ma anche della transizione verso nuove specializzazioni produttive, che nel corso degli anni Ottanta assunsero un ruolo trainante. La contrazione del settore metalmeccanico, effetto immediato della crisi della Smv e della Faacme, non deve infatti far dimenticare il ruolo fondamentale che la produzione locale di macchine utensili continuò a giocare a supporto dello sviluppo tecnologico non solo dei settori tradizionali, che sempre più tendevano a modernizzarsi con l’introduzione di macchinari e impianti adatti alla piccola dimensione d’impresa, ma anche di comparti produttivi moderni, dalle materie plastiche agli attrezzi per fotografia[74]. Questa evoluzione venne attivamente favorita dall’amministrazione attraverso la predisposizione di nuove aree industriali, destinate a consentire il trasferimento e il rinnovamento delle aziende esistenti, favorendone la riconversione tecnologica. Nel settore dell’artigianato la predisposizione di spazi attrezzati veniva a inserirsi in una più ampia strategia volta a riqualificare il settore, potenziandone la capacità di collocare sul mercato nazionale ed estero i prodotti locali. Il mobile e la ceramica furono in questa fase oggetto privilegiato delle iniziative promozionali sostenute dall’amministrazione: sin dal giugno 1975 venne infatti costituito il Consorzio per l’artigianato artistico bassanese (Caab), che patrocinò tutta una serie di esposizioni a carattere commerciale[75](fig.11).

11artigianato

11. L’artigianato ed in particolare il mobile e la ceramica furono oggetto delle iniziative promozionali sostenute dall’amministrazione. Qui la mostra di palazzo Bonaguro inaugurata dal ministro Antonio Bisaglia.Sin dal giugno 1975 venne costituito il Consorzio per l’artigianato artistico bassanese (Caab), che patrocinò tutta una serie di esposizioni a carattere commerciale.

Nel dicembre 1976 veniva inoltre fondata la Cooperativa di garanzia per gli artigiani di Bassano e Marostica, e nel luglio 1977 la stessa associazione degli artigiani promuoveva un corso sul commercio estero per i propri aderenti tenuto dal personale della Banca Cattolica del Veneto, puntando a favorire l’accesso ai mercati di esportazione. Coerentemente con l’impostazione data dall’amministrazione comunale al problema della riconversione dell’economia locale, gli interventi pubblici furono concentrati soprattutto sullo sviluppo del commercio e dei servizi per le imprese. Sul finire degli anni Settanta, vennero aperti a Bassano i nuovi uffici decentrati dell’Inail e della Camera di commercio di Vicenza. Parallelamente, nella variante al Piano Regolatore, veniva affrontato il problema della mancanza di un centro per il commercio all’ingrosso, prevedendo un’apposita area nei pressi dello svincolo della superstrada[76]. La programmazione comprensoriale, avviata sul finire degli anni Sessanta, assunse nel decennio successivo un significato diverso, consentendo da un lato una mobilitazione concertata per trovare soluzione alla crisi determinata dalla messa in liquidazione della Smv, ma rendendo anche possibile una riflessione diversa sul futuro destino della città e del comprensorio. Le considerazioni sviluppate nelle conferenze comprensoriali tra 1976 e 1977 sulle difficoltà generali dell’industria suggerirono l’abbandono di un modello di sviluppo fondato sulla continua espansione dei consumi interni e della residenza, favorendo la crescita di un’imprenditoria diffusa nel territorio esterno alla città e di un distretto industriale ampio in cui giocavano un ruolo trainante i settori rivolti all’esportazione. A Bassano venne invece privilegiato lo sviluppo del commercio e dei servizi e la riqualificazione dell’artigianato rispetto a un’ulteriore espansione delle attività industriali, nei riguardi delle quali l’attenzione si concentrava piuttosto sulla necessità di ristrutturarle e riconvertirle, di fatto ridimensionandone il peso occupazionale.

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