Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Come anticipato, anche nella vita religiosa il Consiglio di Bassano interveniva ponendo regole e vincoli: è quanto testimoniano fin dal XIII secolo gli statuti; nella redazione del 1389, successivamente integrata e confermata nel 1506 (quando Bassano era soggetta alla Serenissima da ormai un secolo)[83], diverse sono le rubriche che considerano tale aspetto. Così, ad esempio, per quanto riguarda le messe dei giorni festivi, analiticamente riportati, che dovevano essere celebrate a Bassano e nel distretto nonché ad Angarano: si trattava di solennizzare, oltre tutte le domeniche, 76 festività comprese fra Natale e il giorno di San Tommaso (21 dicembre) dell’anno successivo, in occasione delle quali non era consentito lavorare, pena una sanzione a seconda della professione esercitata[84]. Ancora, la celebrazione della festa della prima domenica di luglio in onore della Beata Vergine prevedeva un preciso rituale, la partecipazione attiva del podestà e di altri rappresentanti del potere civile nonché delle fraglie di Bassano[85]. Anche la festa di San Francesco, celebrata nel mese di maggio, prevedeva la partecipazione ordinata delle autorità civili e delle fraglie di tutte le arti alla messa maggiore presso la chiesa di San Francesco, mentre la festa di Pentecoste, oltre alle messe solenni, comportava la processione alla quale avrebbero dovuto prendere parte tutti gli ecclesiastici, le autorità civili, le fraglie e la popolazione abitante a Bassano e dintorni[86]. Oltre a ciò, dal 1393 la prima domenica di novembre era prevista la celebrazione di una messa presso l’immagine della Vergine alla porta Mazaroli con l’intervento di sacerdoti, frati, fraglie, del podestà o del suo vicario, alla quale tutti erano obbligati a partecipare per non incorrere in una sanzione pecuniaria[87]. Per quanto concerne le elemosine, il giorno di Natale i frati minori del luogo avrebbero ricevuto 25 lire di elemosina per potere acquistare le tuniche[88]. Quanto agli aspetti legati all’amministrazione economica delle chiese, l’arciprete era obbligato a redigere in duplice copia un inventario del tesoro della pieve, mentre i frati minori, sempre in duplice copia, un inventario del tesoro e delle reliquie della chiesa di San Francesco. Una delle due copie sarebbe stata custodita dai massari di Comune; un massaro eletto annualmente avrebbe invece esatto il denaro offerto agli altari di Santa Maria e di San Vittore e si sarebbe occupato della manutenzione delle due chiese. Uguale disposizione riguardava la Ca’ di Dio del Comune e la chiesa di San Francesco[89]. Si tratta di disposizioni molto risalenti, che tuttavia contrassegnarono costantemente la religiosità bassanese, come emerge dagli Atti del Consiglio: così, ad esempio, il richiamo agli statuti nel momento in cui si stabiliva di fare l’inventario del tesoro della pieve e della chiesa di San Francesco[90]. Esistevano però altri aspetti che comportavano il coinvolgimento dell’amministrazione cittadina: è quanto succede per l’elemosina al predicatore quaresimale, scelto dallo stesso Consiglio[91], o per l’elemosina da dispensare agli indigenti per le feste di Natale, distribuzione che doveva avvenire ad opera degli officiali del Consiglio minore alla presenza del podestà[92]. Senza contare le questioni legate alla manutenzione della chiesa di Santa Maria in Colle, che scandivano frequentemente le sedute consiliari, l’erezione di altari, la celebrazione di messe a suffragio delle anime in occasione di calamità (1695)[93]: tutto quanto riguardava il duomo non poteva non passare al vaglio dell’amministrazione cittadina. La vita religiosa della città era del resto costantemente intessuta dalla presenza del Consiglio cittadino, che vigilò ad esempio anche nel 1509 sulla scelta del patrono della città, San Bassiano (fig.8),

8ArtistadelXVII

8. Artista del XVII secolo, San Bassiano, affresco. Bassano del Grappa, piazza Libertà 5-7. La più recente immagine del santo patrono della città, associato al simbolo bernardiniano, scoperto sulla facciata di piazza Libertà 5-7.

deliberando nel secolo successivo di erigere una statua dedicata al santo nella piazza centrale, e sulla scelta degli altri patroni della città (San Clemente, Santi Sebastiano e Rocco, Santa Emerenziana, San Daciano, San Feliciano), connessi ad eventi particolari (la guerra con gli imperiali al tempo della lega di Cambrai, la peste, il dono di reliquie) che avevano riguardato la vita di Bassano ma che poco coinvolgevano la popolazione locale[94] . Strettamente legata alle istituzioni ecclesiastiche fu, come in altre realtà degli antichi Stati italiani, l’attività laicale, che ebbe modo di manifestarsi in diverse forme: attraverso la presenza sancita dagli statuti nell’amministrazione di talune chiese grazie alla nomina dei massari, attraverso l’attività di associazioni e confraternite, attraverso legati e lasciti testamentari da parte di singoli[95]. In particolare, il fenomeno dell’aggregazione tra laici a fini religiosi e devozionali evidenzia il continuo intersecarsi tra la vita della comunità e la gestione del sacro[96] e l’influsso che le disposizioni del concilio di Trento ebbero sulle stesse, quando fu affermata «la competenza giurisdizionale degli ordinari diocesani anche su questa categoria di istituzioni ecclesiastiche»[97]. A Bassano il panorama delle associazioni laicali si presentava molto variegato – motivo per il quale tratteremo solamente alcuni esempi - sul piano sia delle confraternite devozionali sia delle confraternite di mestiere[98]. Riguardo a queste ultime, se durante il Cinquecento abbiamo notizia di confraternite relative ai mestieri legati all’arte della lana, come la confraternita dei SS. Filippo e Giacomo che riuniva i tessitori, e la confraternita eretta dai lanari con l’assenso vescovile nel 1584, nate essenzialmente per controbattere le pretese del Consiglio di favorire gli interessi dei mercanti[99], al 1451 sembra risalire l’erezione dell’ospedale della fraglia dei Battuti di San Paolo, che riuniva i pellizzari di Bassano[100] e di cui vi è testimonianza negli anni Quaranta del Quattrocento[101]. La matricola della confraternita evidenzia il carattere solidale dell’associazione e nello stesso tempo l’organizzazione della stessa: i diversi punti prevedevano l’amministrazione da parte di due ministri, la visita ai confratelli, l’assistenza alla sepoltura dei confratelli defunti, la celebrazione di funzioni, e norme relative al comportamento di confratelli e consorelle nonché alla lettura degli statuti della confraternita una volta l’anno[102]; da essi trapela il forte sentimento religioso che univa i laici in quest’associazione[103], ma anche lo stretto legame tra associazione confraternale e società[104], che aveva trovato il suo punto di riferimento presso l’altare della Madonna della Misericordia nella chiesa di San Giovanni Battista, destinata a fine Quattrocento a contendere all’arcipretale il ruolo di parrocchiale. Non si trattava dell’unica confraternita ad agire in quel periodo a Bassano, come attesta l’esistenza della fraglia dei calzolai, che nel 1391 aveva fondato la chiesa della Madonna della Misericordia, amministrandola per diversi secoli[105]. E’ quanto testimoniano, ad esempio, gli atti capitolari della confraternita degli anni 1612-1613, i quali riportano le nomine di gastaldi, massari e sindaci di quest’ultima, ma forniscono informazioni anche sul numero di partecipanti alle singole assemblee, che si aggirava intorno ai 18 confratelli, e sugli argomenti trattati nelle singole riunioni, relativi alla partecipazione a processioni[106], alla costruzione di arredi e alla fornitura di decori[107]. Come altre confraternite, anch’essa fu destinataria di lasciti testamentari affettuati da singoli, la cui volontà però non sempre fu rispettata: così nel 1701, in un periodo in cui la presenza alle riunioni dei capitoli risultava ridotta, emerse l’esistenza di un legato di 50 ducati lasciato da Nadale Baggio all’ospedale della confraternita che prevedeva l’obbligo di far celebrare in perpetuo dieci messe l’anno, ma che non era mai stato eseguito né era stato registrato, e ciò indusse gli amministratori a porre rimedio all’abuso perpetrato per decenni, dato che il testamento risaliva al 1631[108]. Evidentemente l’utilizzo del denaro percepito non sempre rispettava la volontà dei donatori, andando piuttosto incontro ad altre esigenze della confraternita, che comunque doveva sostenere spese per il sostentamento della confraternita stessa e dell’ospedale[109], per arredi sacri e per la manutenzione della chiesa, nonché per la celebrazione delle messe nelle solennità, che prevedevano un rituale preciso: è quanto attesta una supplica del confratello Agostino Freschi, il quale nel 1722, evidenziando come presso l’altare della Beata Vergine dell’Aiuto, primo per importanza dopo l’altare maggiore, non fosse prevista alcuna solennità al contrario di quanto succedeva per gli altri altari esistenti nella chiesa (altari maggiore, di San Rocco confessore, di Santa Marta, di San Carlo Borromeo), suggerì di celebrare tale solennità il 2 febbraio di ciascun anno indicando anche le relative modalità, che rispecchiavano quelle delle altre feste solenni. Unanime l’approvazione del capitolo[110]. L’attenzione della confraternita alla chiesa si manifestò appieno verso la metà XVIII secolo, quando la fraglia si impegnò in un’opera piuttosto costosa di ristrutturazione e abbellimento dell’edificio[111]. Sarà in questo stesso edificio che dopo la soppressione napoleonica di monasteri e conventi che coinvolse anche Bassano saranno trasportate nel 1819 le spoglie della beata Giovanna Maria Bonomo, precedentemente conservate nella chiesa di San Girolamo[112]. Da un altro punto di vista va ricordato che la confraternita non era andata esente dall’intromissione dell’arciprete nell’esercizio delle funzioni ecclesiastiche: così era stato rilevato durante la visita pastorale avvenuta nel 1608 all’epoca del vescovo Dionisio Dolfin, allorché la questione tra l’arciprete Compostella e la confraternita era giunta al nunzio di Venezia[113]. Solo verso la fine del secolo successivo la controversia ebbe un epilogo favorevole alla confraternita[114]. Tra le confraternite devozionali, un ruolo importante rivestì la confraternita del Corpo di Cristo, fondata nel 1388, che nell’arco di un decennio si dotò dei suoi primi statuti, seguiti da altri nel 1477[115], della quale sono giunti a noi gli statuti rimaneggiati nel 1497[116] e che aveva trovato il proprio polo di aggregazione nella cappella eretta con omonima dedicazione presso la chiesa di San Giovanni Battista[117]. Destinataria di lasciti che contribuirono al completamento e al decoro della cappella, la confraternita esercitava il giuspatronato sulla stessa, nominando e mantenendo un cappellano[118]. Negli statuti di fine Quattrocento è frequente il riferimento all’attività del sacerdote, né va dimenticato che nel 1483 la confraternita si dotò di una seconda mansioneria[119]. Si profilava negli statuti l’organizzata attività della confraternita, in cui gli aspetti religiosi erano strettamente legati agli aspetti amministrativi, dovuti alla gestione di lasciti e donazioni. E se è vero che gli statuti forniscono «un’immagine sfuocata o addirittura distorta dei caratteri reali delle confraternite di cui pure sono espressione», dal momento che tendono a fotografare la situazione di un determinato momento senza rendere conto della prassi con cui agivano le confraternite nel tempo e forniscono un’immagine molto simile di confraternite diverse[120], ciò nonostante essi contribuiscono, almeno in linea generale, a farci comprendere i requisiti richiesti – almeno in teoria – a chi volesse entrare a far parte di una confraternita e come la stessa - almeno formalmente - fosse gestita. Apprendiamo in tal modo i criteri per l’accettazione di nuovi confratelli, le norme relative alla composizione, all’elezione e al ruolo degli organi direttivi, l’impegno a mantenere traccia dell’attività della confraternita annotando per iscritto i componenti, ma anche verbali di riunioni e rendiconti[121]. Si trattava di una confraternita che a Bassano godette di prestigio per molti secoli, stimolando l’attività religiosa della comunità fin dall’inizio, aspetto quest’ultimo evidenziato, ad esempio, dall’interesse dei fedeli per il decoro della cappella del corpo di Cristo e per il culto eucaristico, ma anche dal fatto che durante il XV secolo la confraternita fosse amministrata dai precettori della comunità[122]. E ciò assumeva rilevanza, se pensiamo che proprio in questo secolo la chiesa di San Giovanni Battista, favorita anche dalla posizione più centrale rispetto alla chiesa di Santa Maria in Colle, cominciò a diventare il polo principale della parrocchia in alternativa al duomo[123]. L’interesse settecentesco per la ricostruzione dell’altare e della chiesa stessa (anche da parte del Consiglio)[124] attestano che non si trattava di una circostanza momentanea, ma di una situazione destinata a durare nei secoli. Del resto la stessa attività delle confraternite con tale intitolazione (successivamente intitolate al SS.mo Sacramento) ebbe un forte sviluppo nel periodo-post conciliare[125], nel quale fu favorita pure la nascita di confraternite parrocchiali «più omogenee all’ideologia religiosa e liturgica della Controriforma»[126] e la trasformazione delle confraternite del Santissimo Sacramento già esistenti «in uno dei più efficaci strumenti di organizzazione dei fedeli»[127]. Ciò che dagli statuti non apprendiamo è come di fatto si svolgesse l’attività confraternale, ad esempio quanto effettivamente i confratelli fossero partecipi della vita associativa: si tratta di un dato che in modo molto evidente può emergere, dagli atti capitolari, nei quali sono registrate le presenze dei confratelli[128]. Dalla documentazione relativa alle confraternite emergono inoltre altri aspetti legati alla prassi: così, per esempio, nel 1675 l’avvocato della scuola del Santissimo Rosario Mario Sale espose al podestà Nicolò Badoer che in quella confraternita, come nelle altre esistenti a Bassano, si praticava «abuso considerabile» perché all’entrata in carica di nuovi massari non era fatto l’inventario di tutti i libri, atti, scritture, mobili, utensili, paramenti e argenterie, con grave danno della confraternita, dato che rimaneva a discrezione del massaro uscente consegnare quanto ritenesse opportuno. In quell’occasione l’avvocato chiese di regolamentare la situazione affinché la scuola non fosse impoverita, ottenendo l’assenso del podestà, che impose una pena di 50 ducati (ed altre a suo arbitrio) ai contraffattori[129]. Che la situazione fosse piuttosto confusa si può cogliere dalla documentazione riguardante altre confraternite: sempre nel 1675, un verbale relativo ad una riunione capitolare della confraternita dell’Immacolata Concezione (fondata nel primo Cinquecento, operava presso l’omonimo altare alla chiesa di San Francesco[130]) (fig.9)

9MarcantonioDordi

9. Marcantonio Dordi, La celebrazione dell’Eucarestia nella chiesa arcipretale, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, esposto in Sala Consiliare. Le disposizioni statutarie di Bassano prevedevano un ordine preciso da rispettare da parte dei rappresentanti del potere civile ed ecclesiastico nonchè dei membri delle confraternite durante la celebrazione di funzioni e processioni.

rilevò la necessità di far fare un libro dei capitoli e definì la remunerazione per il notaio che avesse redatto i singoli verbali[131]. E’ chiaro che tali informazioni difficilmente sono reperibili dagli statuti. Come abbiamo visto, le disposizioni statutarie di Bassano prevedevano un ordine preciso da rispettare da parte dei rappresentanti del potere civile ed ecclesiastico nonché dei membri delle fraglie durante la celebrazione di funzioni e processioni. A tale proposito va ricordato che le confraternite avevano la possibilità di intervenire direttamente nella gestione della vita religiosa. Assai articolata era dunque la situazione delle confraternite durante l’età moderna. Tra le associazioni che avevano scopi socio-religiosi, spesso guidate dal culto alla Madonna e responsabili della fondazione o gestione di ospedali, rientravano i Battuti o Penitenti presenti nel territorio vicentino fin dal Trecento: tra questi anche quelli di Bassano[132]. Due fraglie di Battuti furono presenti a Bassano dal Tre-Quattrocento, presso l’ospedale della Misericordia e quello di San Paolo[133]. Nella sola pieve esistevano inoltre, fino al secondo Seicento, sei confraternite; la più antica, eretta nel 1348, era quella di San Bartolomeo o dei pellizzari, nel periodo post-conciliare ormai decadente, ma che precedentemente era stata attiva e fiorente[134]. Le altre cinque sorsero tutte, o ebbero il loro periodo di maggiore splendore, nel periodo post-conciliare: la confraternita della Madonna del Parto, costituita da donne e aperta a chiunque, si riuniva la prima domenica di ciascun mese per compiere atti devozionali presso l’omonimo altare e dall’inizio del Seicento si trasferì presso la chiesa di San Giovanni[135]. La confraternita del Santo Nome di Gesù, istituita nel secondo Cinquecento, ebbe la finalità di promulgare la devozione al nome di Gesù. La confraternita del Santissimo Rosario rispecchiava invece in ambito locale il diffondersi di una devozione che più in generale ebbe un’ampia diffusione a carattere popolare all’indomani del concilio di Trento: fondata nel 1585, pochi anni dopo contava già circa 1.500 iscritti e all’inizio del Seicento poteva vantare la presenza di un cappellano. La confraternita di San Pietro fu costituita dalla fraglia dei lanaioli di Bassano, i quali, in seguito ad una supplica rivolta al vescovo di Vicenza nel 1584, avevano ottenuto di poter edificare nel duomo un altare dedicato a San Pietro; all’epoca della visita pastorale del 1613 possedeva propri statuti e un proprio cappellano, stipendiato 50 ducati l’anno. La confraternita del Suffragio, eretta nella pieve durante la prima metà del Cinquecento, fu unita nel 1627 all’Arciconfraternita di Roma e nel 1645 costruì un proprio altare[136]. Simile finalità, ma relativa principalmente al momento del passaggio dalla vita alla morte, ebbe la confraternita degli Agonizzanti o del Santissimo Crocifisso e di San Gaetano, eretta ufficialmente nel duomo intorno al 1680 con l’assenso del Consiglio[137], la quale testimonia ancora una volta il mutamento degli obiettivi registrato per le confraternite successivamente al Concilio di Trento[138]; quest’ultimo rafforzò il controllo delle istituzioni ecclesiastiche sulle associazioni laicali[139], le quali tuttavia non andavano esenti dal controllo del potere civile. L’oratorio di San Vittore (costruito nel XIII secolo) e la cappella dell’oratorio di San Girolamo e San Filippo Neri (costruita agli inizi del XVII secolo) adiacenti al duomo attestano inoltre l’esistenza di due ulteriori confraternite, di San Giuseppe e dell’Oratorio, sorte entrambe all’inizio del Cinquecento: la prima originariamente situata presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie, la seconda prosecuzione della prima, destinata all’insegnamento della dottrina cristiana[140], ossia ai punti fondamentali della religione cattolica a giovani e adulti. Si trattava di uno dei risultati destinati a durare più a lungo a seguito del disciplinamento sancito dal concilio di Trento[141]. E’ quanto emerge anche dalle memorie relative all’oratorio[142], tra i cui esercizi risultava compresa l’assistenza alla dottrina cristiana. Nel 1775 la Congregazione della Dottrina Cristiana riuniva le tre scuole della Dottrina di San Giuseppe, della Misericordia, di San Bernardino, e si diede dei nuovi statuti per il «buon governo e direzione di dette tre Dottrine»[143]. L’esame analitico delle vicende di queste confraternite meriterebbe studi approfonditi. In questa sede ci limiteremo pertanto ad evidenziare alcuni aspetti relativamente a due di queste confraternite, intitolate rispettivamente al Nome di Gesù e al Suffragio. La confraternita del Nome di Gesù, come altre confraternite, è da porre in relazione con la predicazione francescana nel territorio (Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Bernardino da Feltre), nella quale prevale «la precauzione per la partecipazione dei soci alle feste della fraglia e per l’attuazione di suffragi per i defunti»[144]. La confraternita bassanese poté vantare parecchi confratelli, dal 1592 un cappellano stipendiato al principio con 25 ducati annui (con l’obbligo di celebrare una messa la settimana e nelle festività di precetto) e all’inizio del Seicento contava più di duemila iscritti[145]. Un Sommario delle indulgenze concesse dal pontefice alla confraternita nel 1697 rende conto di quale fosse l’attività della stessa a fine Seicento: tutti i punti prevedevano che il conseguimento delle indulgenze fosse subordinato al possesso dei sacramenti della confessione e della comunione; l’indulgenza plenaria era concessa a chi risultasse essere stato annotato nel registro dei confratelli nel giorno previsto per l’iscrizione, a chi visitasse ogni anno l’altare di Gesù nella parrocchiale il giorno della Circoncisione (festa principale della confraternita) pregando per sostenere i principi della Chiesa cattolica, a chi non potendo fare ciò in punto di morte invocasse il nome di Gesù; l’indulgenza per sette anni era concessa a chi ogni anno pregasse presso lo stesso altare il 14 gennaio, giorno della solennità di Gesù, la prima domenica di Quaresima, la prima domenica di luglio, giorno della consacrazione della chiesa e in occasione della festa dell’Assunzione di Maria. La concessione di indulgenze era subordinata inoltre ad una serie di compiti che riflettono l’organizzazione della confraternita: assistenza alle messe e ad altre funzioni celebrate presso l’altare del Nome di Gesù, partecipazione alle riunioni della confraternita, alloggio ai pellegrini, pacificazione di nemici, accompagnamento di defunti alla sepoltura, intervento a processioni, accompagnamento del Santissimo Sacramento quando portato processionalmente, ricongiungimento di infedeli ai principi della Chiesa cattolica, insegnamento della dottrina cristiana[146]. A tale proposito non va dimenticato che nel 1604 Clemente VIII aveva disciplinato le norme di erezione nonché di conseguimento di indulgenze e privilegi delle confraternite, a garantire il controllo su di esse dell’autorità vescovile[147]: il Sommario sembra costituire, molti decenni dopo, ancora un atto per imprimere il controllo dei vertici ecclesiastici alla confraternita stessa, alla quale già nel 1646, in occasione della visita pastorale, il vescovo aveva ordinato di provvedersi di nuove bolle di erezione[148]. La confraternita del Suffragio testimonia l’evolversi della sensibilità religiosa, la quale durante il XVII secolo rivolse particolare attenzione alla morte e ai suffragi per le anime dei defunti[149]. L’aggregazione all’arciconfraternita di Roma (istituzione sorta negli anni Trenta del XVI secolo) si inseriva in una tendenza più generale che si intensificò alla fine del Cinquecento e garantiva la possibilità di conseguire più facilmente indulgenze e maggiori legami devozionali con la centralità romana, per quanto concerne sia la curia pontificia sia la vita religiosa, dato che i pontefici conferivano rilevanti privilegi e molte indulgenze alle arciconfraternite, che queste ultime con il meccanismo dell’aggregazione potevano cedere ad altre confraternite[150]. Degni di attenzione, a titolo esemplificativo dell’attività della confraternita, i verbali seicenteschi delle riunioni capitolari[151]: così, se a febbraio di ciascun anno venivano rinnovate le cariche elettive (gastaldo, massari, sindaco), gli stessi capitoli, o altri convocati durante l’anno, ci pongono al corrente di aspetti che difficilmente potrebbero emergere da fonti normative, non solo per quanto concerne, nel 1641, lo spostamento della scuola presso la cappella «vacua» posta nella chiesa[152], ma anche sulla realtà che la confraternita si trovava più in generale a dovere affrontare. In quello stesso anno l’arciprete Veneziani deplorava lo stato del «governo» della confraternita, non amministrato più con «zelo e carità», motivo che lo aveva indotto a richiamare l’attenzione (tramite i predicatori in pulpito e i sacerdoti durante le messe) sul fatto che i confratelli avrebbero dovuto riunirsi nel giorno convenuto per eleggere i massari e gli altri officiali deputati all’amministrazione della scuola, e che, vista la noncuranza dei confratelli riguardo a questo punto, lo aveva spinto a decidere di affidare il governo della confraternita alla compagnia dell’oratorio dei Santi Girolamo e Filippo Neri. Nello stesso tempo l’arciprete riservava a sé e ai suoi successori di nominare il cappellano, che avrebbe avuto però il salario dalla confraternita[153]. Si trattava di un evidente tentativo dell’arciprete di imporre il proprio controllo sull’attività della confraternita, la quale in seguito cercò di mettere ordine alla situazione stabilendo che le dieci messe mensili per le anime dei defunti celebrate all’altare della confraternita fossero officiate dal cappellano e non da altri sacerdoti e che non accettò la volontà del Veneziani[154]. La controversia comportò anni di schermaglie: da un lato l’arciprete pretendeva di eleggere il cappellano e voleva celebrare messa egli stesso, dall’altro i massari stabilivano che gli aspiranti a cappellano dovessero candidarsi ed essere votati dai partecipanti al capitolo. La questione si ripresentò costantemente al momento della nomina del cappellano, sulla quale l’arciprete rimarcava ferma volontà di esercitare il giuspatronato, e comportò sia la mancata partecipazione dell’arciprete alle riunioni capitolari, sia il ricorso di entrambe le parti alla Curia vescovile di Vicenza[155]. Stando alla prassi successiva la questione parve risolversi a favore della confraternita. Nel frattempo la confraternita si sviluppava e grazie alle elemosine il numero di messe da celebrare per le anime dei defunti andava progressivamente crescendo[156], permettendo di aumentare lo stipendio del cappellano, che passò da 64 a 80 ducati (di elemosine)[157] e nel corso di pochi anni si dotò di altri due sacerdoti: il primo, introdotto a partire dal 1655, avrebbe celebrato quattro giorni la settimana e in particolare il lunedì presso l’altare nella chiesa della confraternita ricevendo 40 ducati l’anno (elemosina dai fedeli della confraternita), il secondo, la cui presenza fu decisa nel 1660 a causa della carenza di sacerdoti che officiavano messe, con gli stessi oneri e lo stesso compenso iniziale[158]. La presenza di due cappellani non garantiva infatti uno svolgimento ordinato delle funzioni: è quanto attesta, ad esempio, l’intervento dei massari per l’esecuzione della volontà di Benedetto Zambelli, che nel proprio testamento aveva disposto la celebrazione di una messa ogni lunedì presso l’altare della confraternita, ma i cui esecutori testamentari facevano celebrare da altri sacerdoti in altra chiesa[159]. A ciò si aggiungeva il fatto che i cappellani durante le solennità non celebravano al proprio altare e non si facevano sostituire da altro sacerdote (approfittando della presenza di un mansionario che già celebrava utilizzando paramenti e cera della confraternita), motivo che indusse la confraternita a stabilire in tali casi l’obbligo di un sostituto, pena la decurtazione del salario di un ducato per ciascuna messa non celebrata[160]. L’ avvalersi da parte del cappellano di decreti vescovili che gli consentivano nelle solennità di poter celebrare presso altri altari e chiese dovette tuttavia far desistere la confraternita dal proprio intento[161]. Da un altro punto di vista la confraternita nel 1659, lamentando il declino in cui versava la celebrazione delle messe all’altare della confraternita dovuta all’elezione di duecento confratelli e consorelle provenienti da altre chiese e confraternite che impediva di prestare in modo adeguato i suffragi a coloro che già appartenevano alla confraternita, accrebbe il salario a 80 ducati anche al secondo cappellano, con l’obbligo di celebrazioni quotidiane. In caso di rifiuto da parte di quest’ultimo, si sarebbe dovuto provvedere a ciò con un altro sacerdote[162]. E’ evidente che la confraternita aveva ormai accresciuto le proprie entrate e, parallelamente, l’onere delle messe da celebrare, motivo per cui introdusse, come detto sopra, un terzo cappellano, anch’egli soggetto ad un aumento di stipendio per l’onere delle celebrazioni[163]. Negli anni Sessanta del Seicento le celebrazioni all’altare della confraternita erano ormai quotidiane, lo stipendio per i cappellani cooperatori fu fissato a 70 ducati e furono date regole precise sull’orario delle celebrazioni di ciascun cappellano, che nei giorni festivi sarebbe rimasto a disposizione dell’arciprete, e sull’utilizzo dei paramenti[164], in una prima fase gelosamente custoditi e successivamente oggetto di prestito scambievole con la confraternita del Rosario[165](fig.10).

10Ordiniecapitoli

10. Ordini, e capitoli sopra quali è fondata la Veneranda Compagnia del Santissimo Rosario in Bassano, come appare nel suo Instituto dell’Anno 1588: in Bassano MDCXVIII: per Gio: Antonio Remondin. Fra Sei e Settecento a testimoniare l’incremento delle devozioni contribuirono le stampe popolari dei Remondini, che da un lato raccoglievano le proposte degli ecclesiastici e dall’altro non dimenticavano le richieste dei ceti popolari. 

La celebrazione delle messe nei giorni festivi rimase tuttavia oggetto di contesa con l’arciprete, che richiamandosi alle costituzioni sinodali diede luogo a una serie di ricorsi presso la Curia vescovile al fine di imporre la propria volontà relativamente alla celebrazione della messa mattutina[166]. Al rafforzamento dell’attività confraternale non corrispondeva altrettanto ordine nella tenuta dei registri: nel 1686 esisteva un solo libro per registrare i nomi dei confratelli e della consorelle, organizzato in modo talmente confuso che difficilmente era possibile verificare l’iscrizione dei singoli. Perciò fu deciso di porre ordine tenendo due libri distinti per registrare in ordine alfabetico i nomi di uomini e donne e di dotarsi di una cassetta con serratura dove conservare scritture e libri al fine di preservare le ragioni della scuola[167]. Si trattava di una disposizione che con ogni probabilità risentiva del clima più generale in cui in quegli stessi anni i vescovi riservarono particolare attenzione alla conservazione del materiale documentario e alla costituzione di archivi, sia vescovili che parrocchiali[168]. Un decennio dopo fu regolamentato anche il numero dei confratelli che avrebbero dovuto governare la confraternita, limitato al numero di 60, e furono rivisti i capitoli che disciplinavano la confraternita dal 1669, al fine di ridurre la confusione che si era venuta creando nell’amministrazione[169]. Il provvedimento riguardava altre confraternite di Bassano, come dimostra l’analoga misura presa in quegli stessi anni nella confraternita dell’Immacolata Concezione per quanto concerne sia il numero dei confratelli sia la revisione dei capitoli[170] e nella confraternita del Santissimo Sacramento[171]. Per quanto riguarda i laici, va da sé che le norme stabilite dal concilio di Trento dedicarono particolare attenzione agli aspetti connessi alla vita e alle pratiche religiose di questi ultimi. I sinodi post-conciliari considerarono scrupolosamente sia l’istruzione sia la partecipazione alle funzioni ecclesiastiche dei laici. Divennero così importanti la spiegazione domenicale del Vangelo, il catechismo, le scuole della Dottrina cristiana, nonché le prescrizioni relative alla frequenza della confessione, della comunione e della santificazione delle feste. Non solo, furono oggetto di attenzione anche il comportamento dei laici all’interno dell’edificio ecclesiastico (al fine di evitare atteggiamenti poco consoni) e la celebrazione dei matrimoni[172]. Tra i tanti aspetti che riguardano la vita religiosa cittadina, le processioni ebbero rilevante importanza nell’organizzazione della comunità di Bassano anche da un punto di vista civile; in un contesto più generale esse infatti rappresentavano «un rituale collettivo per eccellenza», coinvolgendo l’intera città secondo un preciso schema organizzato[173]. Sul modello veneziano, che vedeva il doge al centro del sacro rituale[174], a Bassano un ruolo importante nella vita religiosa sembra ricoprire – come già più volte emerso - il Consiglio, dal momento che gli statuti del 1389 (confermati e stampati nel 1506) prevedevano che il giorno della Pentecoste si effettuasse nella città una processione cui avrebbero dovuto intervenire il clero secolare e regolare, il podestà e il vicario, le confraternite di Bassano, tutta la popolazione della comunità e dei dintorni e che il podestà dovesse avvisare della processione con un proclama[175]. La processione del Corpus Domini, in generale la più importante legata alle festività[176], assunse progressivamente rilevanza nella comunità bassanese almeno fino all’incidente che nel 1705 comportò un incendio con la conseguente morte di sedici bambini[177], assumendo un forte valore di identità per tutta la collettività locale. Legata ad un evento eccezionale la processione al termine della peste del 1631[178](fig.11),

11MarcantonioDordi

11. Marcantonio Dordi, Processione, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio. Celebrata quattro volte l’anno secondo le disposizioni del Concilio di Trento, la processione aveva luogo nella Piazza San Giovanni, ora Libertà.

mentre organizzata secondo le norme del concilio di Trento risulta la processione, cui prendeva parte la collettività, che si svolgeva quattro volte l’anno per comunicare gli infermi[179]. Tra le processioni tradizionali più solenni rientrava infine quella del venerdì santo, che avveniva lungo le vie della città di notte portando le statue raffiguranti le diverse dedicazioni della città alla Beata Vergine e costituiva un forte richiamo per gli abitanti anche dal punto di vista scenografico. Assieme alla processione per il Corpus Domini continuerà ad essere celebrata anche dopo la caduta del governo veneziano[180]. Per quanto concerne la devozione ai santi patroni, anch’essa appare strettamente legata al potere civile della comunità. Come festività da celebrare annualmente, il giorno di San Bassiano (19 gennaio) è citato infatti negli statuti del 1389, e sarà il Consiglio nel 1679 a far erigere una statua del santo commissionandola a Orazio Marinali[181]. La scelta dell’altro protettore principale, san Clemente, è legata al ritiro delle truppe imperiali da Bassano avvenuto nel 1509, e vide l’intervento del Consiglio nell’ipotesi dell’anno successivo di costruire un altare per il santo nel duomo[182]. Riguardo ai santi protettori dalla peste, ai tradizionali Sebastiano e Rocco si aggiunse nel 1632 Santa Emerenziana, in occasione della liberazione dall’epidemia. Ai patroni precedenti, cui nel 1630 era stato intitolato un unico altare per volere del Consiglio, si unì quindi Santa Emerenziana: l’altare eretto e intitolato a quest’ultima fu pertanto dal 1643 luogo di devozione anche per gli altri patroni[183]. Più tardi nacquero i culti per San Daciano, il cui corpo giunse a Bassano nel 1679 e solo nel 1819 fu trasportato in duomo, e per san Feliciano, le cui spoglie furono portate in città nel 1736[184]. Nessun patrono sembrava essere stato oggetto di identificazione per la religiosità popolare[185]. Si trattava piuttosto, ancora una volta, di una sorta di imposizione dall’alto, più precisamente dal Consiglio, che decideva su questioni legate al culto senza tenere conto della sensibilità popolare. Altre, come abbiamo visto trattando delle confraternite (che per certi aspetti rimanevano vincolate alla volontà del Consiglio), erano le devozioni cui si rivolgeva la popolazione: tra i culti del periodo conciliare e secondo una tendenza più generale, le devozioni mariane e quelle legate al nome di santi quali Filippo Neri, Gaetano Thiene, ma anche le intitolazioni delle chiese. Oltre a quelle attribuite alla Beata Vergine, la dedicazione degli edifici dedicati ai santi cui si ispiravano gli ordini religiosi che possedevano monasteri in città quasi mai coincidevano (a parte i casi dei santi protettori dalla peste) con i santi protettori di Bassano: è quanto emerge ad esempio dalla chiesa di Santa Croce, le cui vicende si confondono con quelle dell’omonima confraternita[186] Fra Sei e Settecento, inoltre, a testimoniare l’incremento delle devozioni contribuirono le stampe popolari dei Remondini, che da un lato raccoglievano le proposte degli ecclesiastici e dall’altro le richieste di «beni religiosi» dei ceti popolari[187], e che, se nel Seicento cercarono di fronteggiare il quietismo, durante il XVIII secolo più in generale mettevano in luce quanto i fedeli fossero ancora sensibili alle manifestazioni tradizionali della religiosità, promulgate dagli ordini religiosi in opposizione al crescere delle correnti giansenistiche[188]. E ciò per quanto concerne la stampa sia di immagini di santi sia di libri a carattere religioso, come – solo per esemplificare una pubblicazione destinata ad una delle confraternite bassanesi – gli ordini e i capitoli delle più importanti confraternite della città, editi a fine Seicento[189], con ogni probabilità a seguito del disciplinamento messo in atto per portare ordine all’interno delle confraternite stesse. Gli stessi lasciti testamentari o i legati destinati alla dotazione di oratori e cappelle testimoniano, oltre al desiderio del testatore di essere sepolto nel cimitero annesso a una chiesa[190], una religiosità diversa da quella formalmente sancita dal Consiglio: è quanto attesta ad esempio il testamento di Bartolomeo Bonomo, che nel 1648 in virtù di legato lasciò 500 ducati all’altare dell’Immacolata Concezione della chiesa di San Francesco destinati in parte alla celebrazione di una messa settimanale e in parte per rinnovare, con la celebrazione di messe presso lo stesso altare e di una messa cantata presso l’altare maggiore, la devozione alla Beata Vergine[191]; o ancora, all’inizio del Cinquecento, il lascito di Francesco Vasellario fu Corrado destinato alla riparazione della cappella di San Bernardino (di cui esisteva omonima confraternita); nel 1639 Antonio Costa fu Bartolomeo dotò l’altare di San Giovanni Battista nella chiesa di San Francesco con le rendite di diversi livelli[192] per opere relative alla riparazione dell’edificio. La mansioneria nella chiesa di San Girolamo era stata eretta grazie ai lasciti di privati, tra cui Alessandrina vedova di Agostino Corradini cittadino di Bassano[193], che dopo avere istituito pure una mansioneria nella pieve, disponendo di nominarvi un sacerdote a suo piacimento ogni tre anni che celebrasse quotidianamente la messa e altri divini offici in onore di Gesù e in remissione dei suoi peccati e al quale avrebbe dato come stipendio 25 ducati annui (disponendo che dopo la sua morte avrebbe conferito l’onere al Consiglio), nello stesso testamento precisava di fondare la mansioneria a condizione che il vescovo non frapponesse impedimenti e che fosse garantita al Consiglio la libertà di nominare tale sacerdote[194]. Il caso dimostra come il lascito di privati potesse in realtà celare interessi del potere ad un altro livello, tanto più che in quel periodo era in atto la controversia relativa al giuspatronato del Comune sulla pieve[195]. Pur con ruoli diversi, l’attività del Consiglio, delle confraternite e più in generale dei laici era quindi strettamente legata alla vita della Chiesa cittadina. Durante la prima età moderna a Bassano società, istituzioni ecclesiastiche e aspetti di vita religiosa non possono essere considerati separatamente, sia per quanto riguarda i ceti che amministravano la città, sia per quanto concerne gli abitanti più in generale. Bassano metteva in evidenza come l’elemento civile e l’elemento religioso fossero strettamente connessi all’interno della società, allineandosi da questo punto di vista alle altre realtà cittadine degli antichi Stati italiani[196].   

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