[1] Nelle carte d’archivio del “Catastico” bassanese nel 1431 si fa cenno ad una fornace, ma nulla prova che si tratti di una fornace di vasellame ceramico. Molto più interessante per noi è la citazione di un tal Victor Pasqualini, «vasellarius» attivo in Contrata Sancti Zenonis, il primo ceramista documentato in città, nel 1431, anche se non abbiamo alcuna idea della qualità del suo prodotto. Vedi M. MUNARINI, Ceramiche a punta ed a stecca, in Ceramiche graffite a Bassano dal XIII al XVII secolo, catalogo della mostra, Bassano del Grappa, 11 luglio-31 agosto 1986, a cura di P. Marini, s. l., s. e., 1986, pp. 7-8; M. MUNARINI, Ceramiche a Bassano dal XIII secolo, in La ceramica a Bassano e Nove dal XIII al XXI secolo, a cura di K. Brugnolo e G. Ericani, Venezia, Regione del Veneto, Bassano del Grappa, Comune, Nove, Comune, 2004, pp. 3-13.  

[2] Qui, con l’asportazione di piccole parti d’ingobbio, si rimette in luce l’impasto ceramico sottostante, creando un motivo bicolore e leggermente bidimensionale che diventa base di nuove formule decorative.  

[3] MUNARINI, Ceramiche a punta cit., pp.12-13. Ritrovati sul sito della fornace poi acquistata dai Manardi, come vedremo.  

[4] Modellata in argilla d’impasto più chiaro e rivestita da una vetrina dal tono mielato.  

[5]  MUNARINI, Ceramiche a punta cit., pp. 16-18; M. MUNARINI, Graffita tarda, in La ceramica nel Veneto. La terraferma dal XIII al XVIII secolo, a cura di G.Ericani e P. Marini, Verona, Banca Popolare di Verona, 1990, pp. 153-159.  

[6]  Moltissimi frammenti sono stati trovati durante i lavori di recupero dell’edificio dall’attuale proprietario, l’artista ceramista Alessio Tasca, grazie al rinvenimento del ‘greparo’ (la vasca dove venivano buttati i frammenti di scarto di lavorazione).  

[7]  N. STRINGA, La ceramica di Angarano. Appunti per una “nuova” storia, in Antica fabbrica di cristallina e terra rossa, a cura di L. Babel, A. Tasca, Bassano del Grappa, Ghedina & Tassotti, 1989, pp. 51 e ss.  

[8]   Nel 1719 incontriamo Giovanni Maria Moretto unirsi in società con Giovanni Battista Antonibon. STRINGA, La ceramica di Angarano cit., p. 37.  

[9]  V. LAZARI, Notizia delle opere d’arte e d’antichità della Raccolta Correr di Venezia, Venezia, Tip. del Commercio, 1859, p. 79. Vincenzo Lazari, conservatore del Museo Correr di Venezia, è il primo studioso che pubblica, nel 1859, dati storici riguardanti la ceramica bassanese, dichiarando di avere avuto le informazioni da G. B. Baseggio «che le riunì».  

[10]  G. B. BASEGGIO, Comentario delle fabbricazioni di stoviglie presso Bassano, Bassano, Baseggio, 1861, p. 6. Era il direttore della biblioteca e della pinacoteca bassanesi, nel suo fondamentale libretto dedicato alla ceramica locale, cita qualche documento e descrive alcuni pezzi visibili nelle case dei principali protagonisti di questa storia.  

[11] W. DRAKE, Notes on venetian ceramics, London, n. e.,1868, p. 7; G. M. URBANI DE GHELTOF, Intorno alcune fabbriche di majolica e di porcellana in Bassano e in Angarano, Venezia, Ongania, 1876; G. CORONA, Il Veneto e il Friuli, in La Ceramica. Esposizione industriale italiana del 1881, Milano, Hoepli, 1885, pp. 367-368.  

[12]
 Il lavoro di Drake è attento allo studio delle fonti: ascolta i conoscitori come Baseggio, Lazari o il torinese Emanuele Tapparelli d’Azeglio. Soprattutto è fondamentale la pubblicazione in appendice, di molti documenti d’archivio veneziani, trovati dallo storico Randow Brown.  

[13]  Giuseppe Marino De Gheltof è un giovane veneziano collezionista di antichità, studia pezzi e frequenta gli archivi. Appassionato critico della produzione artistica contemporanea, collabora a realizzare diverse esposizioni. Dal 1876 pubblica a Venezia diversi opuscoli dedicati alle produzioni ceramiche venete.  

[14] Oggi sappiamo che latesini e maioliche sono sinonimi.  

[15]  Dirà che ne è «magnifica prova un piatto conservato nel nostro Museo Civico (Correr a Venezia) il pregio maggiore del quale è un’estrema finezza della materia, riunita ad una sonorità rimarchevole; reca questo piatto nel fondo le iniziali IG riunite, forse del pittore che vi rappresentò sul fondo di lattesino una veduta di ruine a colori pallidi, genere che sino ad ora veniva attribuito a Venezia anche da Lazari, ma che ci conviene ridonare alla fabbrica di Bassano, e precisamente a quelle di fine XVII secolo» (URBANI DE GHELTOF, Intorno alcune fabbriche cit., p. 15).  

[16] J. MARRYAT, A History of Pottery and Porcelain Medieval and Modern, London, Murray, 1857, p.69; F. DE MELY, La ceramique italienne. Marques et monogrammes, Paris, Librarie Firmin-Didot, 1884, pp. 196-197.  

[17] Vedi J. GIACOMOTTI, Catalogue des majoliques des musée nationaux, Paris, RMN, 1974, pp. 460-461, nn. 1362-1365.  

[18] A. GENOLINI, Maioliche italiane. Marche e monogrammi, Milano, Dumolard, 1881, p. 117.  

[19]  G. M. URBANI DE GHELTOF, Note storiche ed artistiche sulla ceramica italiana, in Arte ceramica e vetraria. Esposizione retrospettiva e contemporanea di industrie artistiche, a cura di R. Erculei, Roma, Civelli, 1889, p. 28. E’ in un saggio nel catalogo curato da Erculei per l’Esposizione Romana di quell’anno.  

[20] E. PELIZZONI, G. ZANCHI, La maiolica dei Terchi, Firenze, Centro Di, 1982. Le due studiose pensavano - come già ipotizzato da altri prima di loro - che Urbani, non citando le sue fonti inventasse tutti i documenti, costruendo «romanzesche vicende», ma numerose di quelle carte sono state poi ritrovate da Stringa (N. STRINGA, La famiglia Manardi e la ceramica a aBassano nel ‘600 e ‘700, Bassano del Grappa, G. B. Verci, 1987, pp. 9 e ss.). Mai, però, finora, quella lettera del 1708. Se il documento esiste potrebbe essere quindi in un archivio romano.  

[21] C. BARONI, Le ceramiche di Nove di Bassano, «Archivio Veneto», LXII (1932), pp.180-285.  

[22] C. BARONI, La “disputa dei latesini” nella storia della ceramica italiana, «Dedalo», XIII (1933), pp. 147-174.  

[23]  E. PELIZZONI, M. FORNI, S. NEPOTI, La maiolica di Pavia tra Seicento e Settecento, Milano, Amici del Museo del Castello Sforzesco, 1997.  

[24]  Infatti nel volume del 1990 Paola Marini, autrice del saggio dedicato alle prime, ne ricostruiva le vicende con precisa lettura critica concludendo che nulla provava che quei pezzi fossero lì prodotti, tanto da chiamarli il “cosiddetto” stile Angarano. Era evidente che i caratteri materici e formali dei pezzi recuperati nello scavo e quelli erano molto diversi.  

[25] STRINGA, La famiglia Manardi cit., pp. 21-25.  

[26] STRINGA, La famiglia Manardi cit, p. 115.  

[27]  M. MUNARINI, Ceramiche del Seicento e Settecento dei Musei Civici di Padova, in D. BANZATO, M. MUNARINI, Ceramiche del ’600 e ’700 dei Musei Civici di Padova, Venezia, Marsilio, 1995, p. 180. E’ importante sottolineare nuovamente che sono certamente scarti di lavorazione in loco.  

[28] Molto interessanti, come vedremo, sono anche le pennellate che si leggono sul retro di questi frammenti: si alternano tre pennellate sinuose a tre più virgolate. Queste vengono chiamate “serpentine” e “roncigli.”  

[29] N. inv. 19167; deposito del Museo Carnevalet di Parigi dal 1935.  

[30] N. inv. MC 5066, acquistato alla vendita Delange nel 1857.  

[31]  Dato che il pezzo marcato e datato è in perfette condizioni si potrebbe forse dubitare della sua autenticità: ma chi, prima degli scavi del 1982 sapeva che quei segni sul retro delle ceramiche erano bassanesi e non padovani? (E’ di prossima pubblicazione un articolo a mia firma su questo argomento specifico).  

[32] Altri pezzi sono facilmente avvicinabili ai nostri come un’alzata decorata “alla genovese” marcata «Bassano» dei Musei Civici di Treviso (Musei Civici di Treviso inv. C848): Ceramiche antiche a Treviso. Le raccolte dei Musei Civici, a cura di A. Bellieni, Treviso, Canova, 1991, p.187, nn. 282-283.  

[33] ASV, Senato Terra, 819, 24 aprile 1669, cit in STRINGA, La famiglia Manardi cit, p. 99.  

[34] STRINGA, La famiglia Manardi cit, p.99.  

[35] Salmazzo diverrà poi direttore della fabbrica: vedi STRINGA, La famiglia Manardi cit, p. 110.  

[36]  S. NEPOTI, I “bianchi” di Pavia e le conoscenze su altre manifatture lombarde, in La maiolica italiana in stile compendiario. I bianchi, a cura di V. De Pompeis, Torino, Allemandi, 2010, II v., p. 15.  

[37]  STRINGA, La famiglia Manardi cit., copertina, R. AUSENDA, La collezione ceramica del marchese Roi, «Notiziario degli Amici dei musei e dei monumenti di Bassano del Grappa», 40-45 (2010), pp. 56-103. Due altri dipinti con maggior cura portano la data «1694». A Ca’ Rezzonico a Venezia due portano la data «1720».  

[38] Quella tipologia doveva essere prodotta in qualsiasi manifattura ceramica del Nord Italia.

[39] ASVi, b. 288, in STRINGA, La famiglia Manardi cit., pp. 115 e ss.  

[40] STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 122, doc. 34.  

[41] STRINGA, La famiglia Manardi cit., pp. 74-76, 128 e ss.  

[42] STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 149, doc. 45.  

[43] STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 149, doc. 45.  

[44] STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 106.  

[45] I documenti sono riportati da DRAKE, Notes on venetian cit., App. VIII-IX.  

[46] STRINGA, La famiglia Manardi cit., pp. 108-109; La ceramica nel Veneto cit., p. 491.  

[47] La ceramica nel Veneto cit., p. 493.  

[48]  A. Biancalana, Porcellane e maioliche di Doccia. La fabbrica dei marchesi Ginori. I primi cento anni, Firenze, Polistampa, 2011, p. 28.  

[49] STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 111.  

[50] DRAKE, Notes on venetian cit., pp. 2-28 e App. XIV-XVIII.  

[51]
  ASV, Senato Terra, f. 196: STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 109, doc. 21. Chiede anche di poter aprire un negozio a Venezia «per poter commerciare … con i Forestieri».  

[52] ASV, Senato Terra, f. 2155: STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 111, doc. 23.  

[53] DRAKE, Notes on venetian cit., p. 28, App. XIV; STRINGA, La famiglia Manardi cit., p. 113, doc. 27. 

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