Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Reticenza delle fonti letterarie ed esiguità di testimonianze epigrafiche non consentono di ricostruire nel dettaglio il quadro sociale di questo comprensorio. Sono noti solo alcuni individui liberi di nascita, come un Caepiacus Serenus con la moglie Crispina e la figlia Serena, un C(aius) Publilius con la moglie Birria, un [·] Velleius, un C(aius) Vettonius Maximus, e un [- - -]liu[- - - ][93], mentre mancano le attestazioni di schiavi e di liberti. Si concentrano tutte tra la fine del I a.C. e gli inizi del I d.C., fatta eccezione per quelle dei Caepiaci, attribuibile al II-III secolo d.C. e di C. Vettonius Maximus, che è databile fra il 140 e il 160 d.C.[94]. Di quest’ultimo sappiamo che militò nell’esercito romano e che dopo il congedo ritornò nella terra natale: veteranus ex militia reversus afferma non senza orgoglio nel suo epitaffio[95]. Non si può infine escludere, in base ai dati archeologici (resti di ville con parti residenziali con decorazioni di buon livello, diffusione di manufatti pregiati, come le terrecotte di San Giorgio di Angarano, importazione di prodotti di buona qualità), la presenza sul territorio di qualche personaggio di rango[96]. Poco sappiamo anche della vita religiosa: oltre all’eccezionale disco in lamina bronzea, qui preso in esame da Elodia Bianchin Citton, le uniche testimonianze sono costituite da piccole statue in bronzo che appartenevano a larari domestici, come la Vittoria (fig.11)

buonopane fig. 11

11. Vittoria. Bronzetto. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Esempio di piccola statua in bronzo, rinvenuta a Fellette, appartenente a lalari domestici.  Alla Vittoria ci si rivolgeva in ambito privato per ottenere successo in un’attività pubblica o privata.

rinvenuta a Fellette[97], il Mercurio trovato a San Giorgio di Angarano[98] e quello proveniente da Cismon, località che ha restituito anche due raffigurazioni di Ercole[99]. Si riferiscono tutti a pratiche devozionali di carattere popolare: a Vittoria ci si rivolgeva in ambito privato per ottenere successo in un’attività pubblica o privata, mentre Mercurio è per antonomasia il protettore dei mercanti e il suo culto si può verosilmente porre in relazione con le attività commerciali che interessavano queste zone[100]. Più significativa appare la presenza delle statuette di Ercole, da collegare evidentemente alla locale pratica della transumanza[101]: l’eroe divinizzato, infatti, non solo era protettore di chi viaggiava per zone montuose e impervie, ma tutelava anche le greggi, le mandrie e i loro spostamenti, e godeva dunque di particolare favore nelle comunità dedite all’allevamento[102]. Per quanto riguarda le attività produttive, anche se l’agricoltura rappresentava certamente la voce più importante, poco sappiamo di cosa si coltivasse[103]: in analogia con quanto si conosce dei contigui territori di Vicenza e di Padova[104] le colture più praticate dovevano essere quelle del frumento, in particolare la spelta, dell’avena, dell’orzo, della segale, del miglio, affiancate dall’orticoltura e dalla frutticoltura. Come sembra confermare uno studio recente condotto sia sull’analisi e la distribuzione dei numerosi contrappesi da torchio rinvenuti in quest’area[105], sia sui dati documentari e archeologici[106], una voce non secondaria anche se più ai fini del consumo domestico che della commercializzazione, per la scarsità della produzione e per la bassa qualità, doveva essere rappresentata dalla coltura della vite e dell’olivo, di solito strettamente connesse in Italia settentrionale, dove l’uso di maritare la vite anche all’olivo è attestato da Plinio[107]. All’agricoltura si accompagnava l’allevamento domestico di bovini, suini, animali da cortile e soprattutto ovini e caprini[108]; questi ultimi erano allevati sia in forma stanziale nell’ambito delle singole fattorie, sia in modo intensivo e in forma migratoria con l’antica pratica della transumanza, sfruttando nei mesi invernali le aree incolte e non occupate dalle centuriazioni oppure quelle aree che all’interno di esse erano riservate al pascolo (pascua publica o compascua), oppure, ancora, usando terreni che gli agricoltori affittavano ai pastori, e muovendosi all’approssimarsi dei mesi caldi verso la montagna attraverso le grandi vie armentarie. alcune di queste, in particolare quelle lungo il Brenta, attraversavano il territorio bassanese[109]. E lungo questi percorsi, ma in senso inverso, grandi quantità di prodotti della pastorizia e soprattutto la lana giungevano fino a Padova, per dar vita a quella fiorente industria tessile, per la quale il centro patavino era celebre nel mondo romano[110]. La natura argillosa dei suoli lungo le rive del Brenta, la facilità d’approvvigionamento di legname dall’altopiano asiaghese e dal Monte Grappa[111], la possibilità di agevoli trasporti per via d’acqua e la notevole richiesta legata all’espansione edilizia, sia rurale sia urbana, fra I secolo a.C. e I secolo d.C., diedero vita in quest’area a un’intensa attività di produzione di laterizi[112]. Abbiamo almeno due testimonianze archeologiche di impianti produttivi, una quasi certa (San Giorgio di Angarano) e l’altra abbastanza probabile (Brega di Rosà)[113]. Qui, come si è detto, si fabbricavano fittili di ogni tipo, dalle tegole ai mattoni semicircolari o circolari da colonna, dalle antefisse ai pesi da telaio. Conosciamo anche i nomi di alcuni personaggi, probabilmente i proprietari o i conduttori degli impianti, un Avillia Paeta, un Pastor, schiavo di alcuni membri della gens Manlia, attestati entrambi a san Giorgio d’Angarano[114], un Q. P(- - - ) C(- - -), documentato su un gran numero di esemplari rinvenuti a Brega di Rosà o, ancora, un Blastus, schiavo di un P. Mulvius Acilus, presente in particolare nell’area orientale di questo territorio[115]. Si tratta di produzioni abbastanza limitate, destinate soprattutto a soddisfare le richieste del mercato locale e delle zone limitrofe, domanda che, tuttavia, non riuscivano a soddisfare dato che sul territorio sono presenti anche laterizi prodotti in altre zone, specie nel Vicentino e nel Padovano[116]. La documentazione archeologica, costituita per lo più da reperti tanto omogenei quanto modesti (anfore, vasellame da mensa, ceramica comune, lucerne, vetri)[117], mostra che il territorio di Bassano era inserito nelle correnti di traffico che dal I al V secolo d.C. collegavano la pianura padana e le aree transalpine con i circuiti mediterranei: all’esportazione di materie prime, come la pietra da taglio e il legname, dei prodotti dell’allevamento come la lana[118], le carni e i formaggi[119], e di manufatti, come i laterizi, corrispondeva l’importazione di ceramica comune dall’arco alpino orientale, di vasellame di produzione padana e medioadriatica, di ceramica (terra sigillata) africana, di vino dall’Italia e dalla Palestina, di olio dall’Italia e dalla Spagna, di salse di pesce, sempre dalla Spagna[120].

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